La Francia ha sempre esercitato un’attrazione più o meno fatale sugli italiani, in particolare sugli artisti che ne hanno subito il richiamo, soprattutto negli ultimi tre secoli. Per non parlare di nobili, statisti ed ecclesiastici che in ogni epoca hanno frequentato le contrade d’Oltralpe, quasi richiamati da un fascino misterioso che poi aveva ragioni di carattere culturale e politico. Non sorprende pertanto se ben quarantanove tombe di italiani, non tutte in verità “occupate”, affollano il cimitero parigino più famoso, il Père-Lachaise, situato nel XX arrondissement, costruito tra il 1803 ed il 1804.
In applicazione di una legge del 1765 che proibiva la sepolture nella città, che comportò la chiusura del Cimitero degli Innocenti, agli inizi del nuovo secolo, il console Napoleone Bonaparte stabilì che ogni cittadino aveva il diritto di essere sepolto, qualunque fosse la sua razza o la sua religione, includendovi anche i miscredenti, scomunicati, attori e poveri. Il 12 giugno 1804, un decreto imperiale sulle sepolture fissò definitivamente le regole che dovevano essere applicate per la costruzione e l’organizzazione dei cimiteri. Furono così creati molti nuovi cimiteri fuori dai confini della capitale: il cimitero di Montmartre a nord, il cimitero dell’est, il cimitero di Montparnasse a sud e, a ovest della città, il cimitero di Passy.
La trasformazione del Mont-Louis nel cimitero dell’Est, che sarebbe poi diventato il Père-Lachaise, all’interno del centro urbano, venne affidata dal prefetto di Parigi all’architetto Alexandre-Théodore Brongrant nel 1803. La prima sepoltura fu quella di una bambina, l’anno successivo. Poi incominciò ad essere “frequentato” dai vicini che abitavano nei dintorni della collina, fino a quando nel 1817 il sindaco di Parigi decise il trasferirvi i resti di Abelardo ed Eloisa, come pure quelli di Molière e di La Fontaine. L’ultimo illustre che vi venne traslato fu Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, drammaturgo e polemista francese il cui nome è stato dato ad una delle strade principali del Marais, quella che va dalla Bastiglia a piazza della Repubblica.
Nel 1830 si contarono 33.000 tombe. Il Père-Lachaise s’ingrandì per ben cinque volte: nel 1824, 1829, 1832, 1842 e 1850. Durante la Comune di Parigi, nel maggio 1871, il cimitero fu teatro di una violenta battaglia. Per via della sua localizzazione strategica sulla collina, i Federati vi avevano installato la loro artiglieria, ma furono rapidamente circondati dai Versagliesi di Thiers. I 147 comunardi sopravvissuti furono fucilati il 28 maggio 1871 davanti al muro che prese il nome di “muro dei Federati”, a sud del cimitero.
Finalmente dopo distruzioni e ricostruzioni il cimitero trovò la sistemazione che oggi è dato vedere. Ed in questa sistemazione hanno trovato posto illustri personaggi, come Gioacchino Murat per esempio, effimero re di Napoli, oltre che uno dei più fedeli marescialli di Bonaparte. Gli italiani, prevalentemente artisti e intellettuali, le cui biografie “mortuarie” si possono leggere ora in un sontuoso volume pubblicato da Skira, L’Italia del Père-Lachaise. Vite straordinarie degli italiani di Francia e dei francesi d’Italia (pp.275, € 60,00, riccamente illustrato), nel quale, come scrive l’ambasciatrice d’Italia Teresa Castaldo, gli italiani “con le loro vite vissute tra le due sponde delle Alpi… sono un emblema della prestigiosa storia della comunità degli italiani in Francia e rappresentano oggi ambasciatori più vivi che mai, dei legami profondi e secolari tra i due Paesi”. Un esempio, insomma della solidità dei rapporti tra Italia e Francia.
Alcuni dei sepolti sono autentiche celebrità riconosciute in tutto il mondo. Tra i primi che s’incontrano c’è Vincenzo Bellini, la cui tomba è però vuota in quanto le spoglie furono traslate a Catania, ma Gioacchino Rossini è tra i più visitati come Maria Callas che, per quanto non italiana, se non per un brevissimo periodo in cui ebbe la cittadinanza, all’Italia è legata ed “italiana” viene considerata nonostante le sue ascendenze americana e greca.
Al contrario, Yves Montand, di Monsummano Terme, da tutti considerato francese, lo divenne di fatto, cambiando il suo nome originario che era Ivo Livi. E tra gli artisti ancora s’incontrano, in angoli ombrosi e suggestivi, soprattutto d’autunno e in primavera, personalità come Luigi Cherubini e Amedeo Modigliani, Georges Moustaki e Maria Alboni, Adelina Patti e Willy Rizzo. E poi politici, intellettuali e rivoluzionari come Carlo Bossi, Ferdinando Bossi, Aurelio Orioli, i Garibaldini dell’Argonne, Carlo e Nello Rosselli, Piero Gobetti, il citato Murat e molti altri. Per concludere con Virginia Oldoini, la celeberrima Contessa di Castiglione alla quale, in parte, si deve un contributo decisivo ancorché eccentrico, al processo di unità nazionale, grazie alla disponibilità di Cavour e all’insaziabilità sessuale di Napoleone III.
“Animata da un ardente patriottismo e attirata dalla mondanità della vita parigina – scrive Valentina Piccoli – Virginia giunse a Parigi con la famiglia nel i855 e nel gennaio successivo venne ufficialmente presentata a corte”. L’imperatore ne fu ammaliato. Il resto lo fece da Torino il presidente del Consiglio dello Stato piemontese. Ma le sue fortune tramontarono quando venne accusata di spionaggio con sospetti alimentati dall’imperatrice Eugenia, e a causa della sua vita disinvolta, del suo esibizionismo, delle molte e non celate relazioni amorose che intrecciò intorno alla corte.
Come molte donne che furono fortunate in gioventù, la contessa dissipò fortune e amicizie, i lutti familiari l’allontanarono dal mondo che l’aveva vista trionfare, finì i suoi giorni in un sottoscala a Place Vendome, completamente reclusa, in totale solitudine e povertà. Ma un posto tra al Père-Lachaise non glielo negò nessuno. Come a Murat, fucilato a Pizzo Calabro per eccessiva ambizione, che in un attimo perse tutto, ma non l’onore di una sontuosa tomba nel cimitero di Abelardo ed Eloisa.
L’iconografia del volume è magnificamente curata; i testi sonno perfetti e scritti con eleganza; l’opera è un pezzo di storia italiana in terra di Francia. Per una volta un cimitero risulta quasi gaio: tra i suoi vialetti è come se ci si sentisse a casa.