La domanda inevitabilmente si pone, anche se la risposta non è così scontata. Nell’ora probabilmente più buia della storia repubblicana – tra emergenza sanitaria, tracollo economico e rivolta nelle carceri – l’ipotesi di un governo di unità nazionale, o di salute pubblica sarebbe il caso di dire, compare e scompare come un fiume carsico. Ma c’è. Nei commenti degli osservatori e degli esperti – vedi i recenti commenti su Formiche.net di Roberto Arditti e Alfonso Celotto – e anche, seppur in maniera meno pronunciata, nel dibattito interno ai partiti.
Una proposta che nasce non tanto o non solo dalla valutazione sull’operato dell’esecutivo – che ce l’ha messa tutta ma più di un errore lo ha commesso, a partire dalle modalità troppo artigianali con cui sono stati comunicati e attuati i decreti di chiusura delle scuole e di isolamento della Lombardia e delle 14 province del settentrione – ma da una considerazione di carattere, per così dire, un po’ più generale. Ovvero che forse, per fronteggiare la più grave crisi nazionale dai tempi della seconda guerra mondiale, possa occorrere un governo sostenuto da tutte le forze politiche e composto dalle più eminenti personalità pubbliche del nostro Paese, così da dare un messaggio di forza e di unità sia all’interno che all’esterno. Un governo in grado di ripristinare una catena di comando degna di questo nome e di farci uscire in piedi da questa curva così drammatica della storia del Paese.
“Il personaggio capace di guidare un’operazione del genere è Mario Draghi”, ha scritto su Facebook il giornalista politico della Stampa Fabio Martini ed è chiaro che tutti pensino all’ex presidente della Banca centrale europea laddove maturassero le condizioni politiche per far nascere questo governo. Cui però dovrebbe essere affidato un mandato ampio e non limitato alla risoluzione e gestione dell’emergenza sanitaria che speriamo possa essere superata nel più breve tempo possibile. Dopo, in ogni caso, bisognerà ricostruire l’Italia, innanzitutto dal punto di vista economico ma non solo: l’epidemia del coronavirus dimostra che troppi errori sono stati commessi negli ultimi due decenni. Ad esempio nell’allocazione delle risorse pubbliche – abbiamo tagliato troppo sanità e ricerca come sta tragicamente emergendo in queste ore – ma anche sotto il profilo costituzionale. Non aver previsto una clausola di supremazia che consenta allo Stato centrale di assumere pienamente il timone in certe situazioni ha partorito le continue polemiche di questi giorni tra Palazzo Chigi e le Regioni, con tutte le ripercussioni sul sistema Paese che ne sono derivate in termini di tempestività e di coerenza delle decisioni assunte. E, forse, pure di salute pubblica.
Com’è ovvio che sia, ogni valutazione su questa ipotesi spetterà al Quirinale e alle forze politiche di maggioranza e opposizione. È chiaro, però che un’operazione del genere avrebbe senso solo laddove fossero della partita tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale, nella consapevolezza di dover rinunciare per almeno due anni – ossia, fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica – a ogni calcolo elettorale e di parte per sostenere la ricostruzione del tessuto politico, economico e anche civile dell’Italia. Nessun distinguo sarebbe possibile, da parte di nessun soggetto politico. Il governo avrebbe il compito di guidarci fuori da questa crisi senza precedenti e il Parlamento quello di ripensare le regole del gioco con l’obiettivo di dare nuovo impulso al Paese.
Uno scenario in continua evoluzione che a questo punto, dopo il decreto che ha reso tutta Italia zona protetta, non esclude neppure l’ingresso in questa maggioranza delle forze politiche di centrodestra che in queste ore incontrano Giuseppe Conte. Il primo summit con Matteo Salvini dai tempi della clamorosa rottura di quest’estate, la dimostrazione che in circostanze eccezionali servono soluzioni eccezionali dal punto di vista dei provvedimenti adottati – è il caso delle ultime misure varate per contenere il contagio – ma anche delle scelte politiche.
Gli italiani in queste ore sono chiamati al più alto senso di responsabilità, la politica non sia da meno qualunque cosa decida di fare.