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Così (non) funziona il capitalismo cinese. L’analisi di Aresu

Di Alessandro Aresu

Il 17 gennaio 2017 Xi Jinping apre il World Economic Forum di Davos con una difesa appassionata della globalizzazione economica. Tutti sono pazzi per Xi, che spazia nel suo discorso da Charles Dickens al primato dei problemi ambientali, tanto che l’uditorio globale di Davos ritiene che la performance del presidente cinese abbia eclissato l’altra cerimonia di inaugurazione, prevista a Washington con il giuramento di Donald Trump come nuovo presidente degli Stati Uniti.

Nell’articolo che descrive la storia d’amore tra Xi e l’ammaccato foro102 e che è illustrato da una foto del presidente Xi vicino a un panda di ghiaccio avvolto da bandiere cinesi e svizzere, The Economist lo definisce “the new Davos Man”. Il modo con cui Xi interpreta il ruolo di uomo di Davos, avverte tuttavia The Economist, non è quello di un nuovo leader globale, ma mette al centro la prospettiva cinese. Xi sottolinea l’importanza di mantenere la barra dritta sulla libertà e sulla liberalizzazione del commercio e degli investimenti. Occorre contrastare il protezionismo perché “essere protezionisti è come chiudersi da soli in una stanza buia. Anche se il vento e la pioggia possono essere tenuti fuori, la stanza buia bloccherà anche la luce e l’aria. Nessuno emergerà vincitore da una guerra commerciale”. Questo ci porta ad Anbang.

La “stanza buia” viene sperimentata dal suo presidente, Wu Xiaohui, l’assicuratore d’auto divenuto proprietario del Waldorf Astoria, che nel giugno 2017 viene posto sotto custodia dalle autorità cinesi e poi sotto processo. Il governo cinese prende il controllo del suo gruppo. Altri importanti protagonisti del capitalismo cinese sono stati “scrutinati” e rilasciati, come Guo Guangchang di Fosun, conglomerato molto attivo in Europa. Nel modello cinese, non c’è quindi lo “spirito” del capitalismo che attraversa la strada a Shenzhen per essere narrato da Sombart: il Partito comunista cinese può condizionare gli imprenditori attraverso il credito e attraverso il monopolio effettivo della forza, di cui è l’unico attore legittimo, salvo sorprese.

È sulla base di questo che si può inquadrare l’approfondimento di Xi Jinping sulla mano invisibile e la mano visibile, considerando le sue parole nella XV sessione del gruppo di studio dell’Ufficio politico del XVIII comitato centrale: La questione del rapporto tra mercato e governo si inscrive in un’ottica dialettica: bisogna attenersi alla dottrina dell’esistenza di due aspetti in tutte le cose. La “mano invisibile” del mercato e la “mano visibile” del governo devono essere usate entrambe, in modo che si completino, si promuovano e si coordinino a vicenda e formino un tutt’uno organico, al fine di promuovere uno sviluppo sociale ed economico sostenuto e sano.

Questo concetto di “tutt’uno organico” è il cuore del capitalismo politico cinese, dove l’intervento del Partito comunista cinese non può mai essere messo tra parentesi. Nel visibile e nell’invisibile. Dal 1989 a oggi, la discussione sulla “democratizzazione” della Cina è stata spesso legata all’evoluzione del suo capitalismo: all’emergere di una classe media con interessi divergenti da quelli del Partito, alla presenza di un nucleo di imprenditori innovativi. Secondo questa chiave di lettura, l’elefante del Partito è troppo pesante per stare dietro al dinamismo di Jack Ma, il creatore del gigante di e-commerce Alibaba che, in corrispondenza al trionfo di Xi Jinping, ha affascinato il pubblico del World Economic Forum di Davos del 2017 dicendo che non vuole morire nel suo ufficio, ma in una spiaggia.

A questa fascinazione sono seguite diverse cadute di illusioni, in corrispondenza con l’illusione generale nei confronti della Cina del Partito comunista cinese, definita con acume dal New York Times “the land that failed to fail”.105 Jack Ma, a fine 2017, ha dichiarato al quarto congresso degli imprenditori di Zhejiang che nessun Paese al mondo ha l’ambiente imprenditoriale della Cina, perché solo il Partito comunista è stato in grado di autoriformarsi e di auto-innovarsi, generando sicurezza e stabilità. In seguito, ha annunciato il suo ritiro dal timone dell’azienda. Nel novembre 2018, è stato reso noto che Jack Ma è membro del Partito comunista cinese. Nel settembre 2019, Alibaba ha festeggiato il suo ventesimo compleanno con il ritiro di Jack Ma. Siamo liberi di credere, se vogliamo, che Jack Ma abbia deciso spontaneamente di andare in vacanza a godersi la vita.

Perché le cose sono andate in questo modo? Perché Jack Ma è veramente finito in spiaggia? Non aveva fatto un sacco di soldi? Non doveva cambiare il Partito comunista cinese, la Cina, il mondo? In piena logica del capitalismo, Jack Ma corrisponde a vaste “possibilità tecniche”. Jack Ma può costruire una fortuna personale di oltre trenta miliardi di dollari, può fornire opportunità a milioni di piccoli commercianti in Cina, può sbarcare in borsa negli Stati Uniti con una complessa catena societaria.

Di più: può avviare laboratori di intelligenza artificiale, può aiutare la civiltà cinese a recuperare il suo storico ritardo sull’hardware, e i semiconduttori in particolare, di fronte alla capacità di ricerca, innovazione e produzione degli Stati Uniti. Così il capitalismo politico cinese insidia – dice di insidiare – la frontiera americana. In questo percorso, resta sempre qualcosa che Jack Ma non ha potuto fare, non può fare, non potrà fare: andare contro le direttive del Partito comunista cinese. Così, nelle caratteristiche della “scienza” degli statisti e dei legislatori del XXI secolo, ritorna il vecchio, inevitabile arnese weberiano, con una nuova pervasività politica: il potere coercitivo dello Stato e della sua “burocrazia celeste”, che si accoppia col capitalismo.

 

http://www.lanavediteseo.eu/item/le-potenze-del-capitalismo-politico-stati-uniti-e-cina/

 

 

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