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La sfida alle radici cristiane del confine greco-turco. Il documento dei vescovi scandinavi

“Ingabbiato”. Usando questa parola all’inizio dell’Angelus di domenica, il primo pronunciato senza affacciarsi dal palazzo apostolico, papa Francesco ci ha detto chiaramente che il rischio maggiore è quello che la paura, il nemico invisibile, ci isoli, ci faccia vivere nella solitudine della paura. E infatti  subito dopo ha ricordato la tragedia del profughi ingabbiati ad Idlib, tra bombe russe che li inseguono e il muro di Erdogan che gli sbarra il passo. Così molti bambini muoiono assiderati. E ieri, all’udienza generale, ha chiarito ulteriormente: “Non vorrei che questo dolore, questa epidemia tanto forte, ci faccia dimenticare i poveri siriani che stanno soffrendo al confine tra Grecia e Turchia: un popolo sofferente da anni”.

Il papa non ha dimenticato i non siriani tra i profughi che cercano di sopravvivere al confine tra Turchia e Grecia e che si vedono negati i più elementari diritti umani, a cominciare da quello di chiedere asilo. Ha parlato dei siriani per renderli parte del tutto, non potendo elencare le singole nazioni di origine di tutti quei disperati, ma sottolineando la nazionalità più presente e più sofferente, gettata con ferocia ai quattro venti, come fossero scarti.

La preoccupazione sull’effetto “gabbie” espressa da papa Francesco, è stata perfettamente colta da un documento comune di tutte le Chiese scandinave. Il documento è firmato dall’arcivescovo della Chiesa svedese, da quello luterano della Chiesa finlandese, dal vescovo cattolico di Oslo e dal suo omologo luterano, dal vescovo cattolico di Stoccolma, da quelli cattolico e protestante di Copenhagen, da quello cattolico e da quella protestante di Reykjavik, dall’amministratore apostolico della diocesi cattolica di Helsinki.

“In questo momento i nostri confini fisici e mentali sono provati dalla diffusione del coronavirus e dagli sviluppi della situazione dei rifugiati o richiedenti asilo ai confini esterni dell’Europa. Tratto comune a queste sfide è che entrambe richiedono di assumersi responsabilità personali e condivise, attraverso i confini e al di là di ogni convincimento politico. Ci sfidano come persone e come componenti della famiglia umana. I pesi vanno condivisi, portati insieme. Se fallissimo, perderemmo la nostra umanità. Ma qui è dove la similarità si conclude. Il virus va combattuto, Questo non può valere per persone che cercano un rifugio sicuro. Persone in fuga da condizioni di vita insopportabili  possono perdere tutto, ma mai possono perdere la loro dignità e i loro diritti”.

Dunque per i vescovi scandinavi la crisi in corso ai confini tra Grecia e Turchia è una prova, ma soprattutto un test per la nostra umanità. Ricordate le comprensibili paure politiche, economiche, i vescovi aggiungono che queste paure non possono renderci loro prigionieri, né impedirci di permanere responsabili. “Vivere una vita umanamente degna non può comportare l’accettazione della disumanizzazione di persone in fuga da condizioni indegne”. Il diritto di cercare asilo politico è un diritto umano, affermano testualmente. Non è possibile rimandarli verso l’oppressione e la persecuzione. “Assicurare l’ordine e la prosperità in Europa al costo del caos ai suoi confini esterni è incompatibile con i convincimenti etici sui quali l’Europa è stata costituita. Rivendicare la difesa di valori cristiani sbattendo la porta in faccia a chi chiede rifugio dalla violenza e dalla sofferenza è inaccettabile, mina la testimonianza cristiana nel mondo e trasforma i confini nazionali in idoli”.

Svolta un’ulteriore, accurata analisi della situazione europea e al confine tra Grecia e Turchia, il colpo di maglio dei vescovi arriva alla fine, ed è durissimo: “Il principale rischio per l’Europa non viene da migliaia di persone che cercano asilo ai suoi confini. Piuttosto, questo pericolo viene dalla perdita di fede nel futuro, dalla perdita di valori universali e di dignità umana e da una politica priva di visione. Il vero rischio è che i nostri sensi si attenuino fino a perdere la nostra comune umanità”.

Indubbiamente colpisce che nelle stesse ore sia uscito un appello per l’accoglienza degli asilanti originato nel campo laico della cultura italiana. Il dato che la cultura religiosa, soprattutto in Francesco, sa cogliere in più però è questo doloroso collegamento delle gabbie, dei diversamente ingabbiati.

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