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Un giorno da Erdogan. Con Biden, Trump e Putin

Erdogan

Il presidente turco pensa al suo potere e alla stabilità interna, per questo cerca di non perdere i contatti atlantisti con gli Usa e intanto mantiene attivo il canale russo-eurasiatico

Un messaggio di congratulazioni a Joe Biden, uno di ringraziamento a Donald Trump: Recep Tayyp Erdogan ha rotto il silenzio sulle presidenziali americane con un doppio posizionamento. Tutto nello stesso giorno in cui ha anche tenuto una telefonata operativa col presidente russo, Vladimir Putin (i due hanno parlato di Nagorno-Karabakh e Siria, ambiti in cui la coopetition russo-turca si manifesta in modo candido sfruttando anche l’assenza di Stati Uniti ed Europa).

L’ambiguità regna ad Ankara. Frutto di un rapporto rotto con Washington, che Erdogan sperava di recuperare appieno con l’arrivo allo Studio Ovale di Trump, dopo aver sofferto l’amministrazione Obama, le relazioni personali pessime con il Dem, la posizione non favorevole alle scorribande avventuriste del turco. Ora arriva Biden, e torna lo spettro di un indurimento, del ritorno alle posizioni critiche che negli anni trumpiani erano state quanto meno sostituite dai silenzi.

Ma i due statement dell’ufficio di presidenza turco, intervallati – nel caricamento del sito – dal readout della telefonata con Putin dimostrano anche una crepa interna alle strutture profonde dello stato anatolico. Da un lato chi chiede di recuperare terreno con l’Occidente, legato a una posizione che potremmo definire atlantista connessa con la Nato; dall’altro la linea più rivoluzionaria che vede il paese pronto per il salto eurasiatico, gancio in Putin e in quella collaborazione-competitiva, spazi per ambizioni che Biden e Washington (nemmeno sotto Trump) hanno e hanno avuto intenzione di assecondare.

Se la seconda linea è per ora più problematica e incerta, soprattutto in mezzo a una condizione economico-sociale non certo rosea all’interno del paese, l’altra è necessariamente da tutelare e proteggere. Il messaggio a Washington è partito proprio dal comparto econfin, dove Erdogan ha cacciato il governatore della Banca centrale (la Lira è in picchiata, non senza consenso del Dollaro) e fatto dimettere il genero ministro delle Finanze, Berat Albayrak. – sostituito con un nuovo ministro che nel curriculum studiorum porta un master in Economia all’Università del Delaware, la stessa di Joe Biden (come ha ricordato su queste colonne Marta Ottaviani).

Albayrak, discendente di una delle grandi famiglie dell’aristocrazia imprenditoriale turca (finanziatrice di Erdogan chiaramente) è finito in mezzo al fight club politico di Ankara, Contro di lui il ministero dell’Interno (da dove il ministro Süleyman Soylu lotta per il post-Erdie), che non gli ha lasciato altre chance che mollare, via Instagram, senza avvisare il suocero presidente – che ha evitato commenti e accettato la resa. Un contesto molto delicato quello tra gli apparati attorno al presidentissimo turco, che uscito indenne da un golpe quattro anni fa (di cui incolpò gli Usa di essere tra i registi) ora cerca di tener buone varie carte internazionali anche pensando la suo potere.



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