Alla fine le due fazioni in guerra in Libia, la Tripolitania dove risiede il Governo di accordo nazionale, messo sotto attacco dalle forze ribelli della Cirenaica, hanno più o meno deciso di accettare la tregua umanitaria che è stata chiesta dalle Nazioni Unite. L’annuncio è stato fatto separatamente, e non indicia niente di buono se non fosse per le circostanze straordinarie: fermare i combattimenti per concentrarsi sulla diffusione del coronavirus nel paese.
Dagli Stati Uniti è arrivato oggi una richiesta pressante e diretta contro il signore dalle guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar. Fermare le armi, rifiutare le interferenze esterne, “consentire alle autorità sanitarie di combattere” il coronavirus. Il dipartimento di Stato ha fatto uscire la nota con cui l’amministrazione Trump dichiarava di condividere l’apertura fatta per primo del governo di accordo nazionale guidato da Fayez Serraj, “primo ministro libico” internazionalmente riconosciuto, che ha dato subito sostegno “alla cessazione umanitaria delle ostilità”.
Due giorni fa, l’Onu — attraverso la missione speciale che segue la crisi libica — aveva avanzato la richiesta a tutte le parti in causa, compresi gli attori stranieri che dall’esterno finanzino il conflitto dando sostegno alla milizia di Haftar e a quelle della Tripolitania che da quasi un anno difendono la capitale dall’assalto dell’autoproclamato Feldmaresciallo della Cirenaica.
Ma Haftar ha fatto esattamente l’opposto. Ha provato a giocare a sorpresa con un’avanzata su alcune aree del fronte meridionale. Operazione chiusa con insuccesso, ma che ha prodotto vittime civili. Anche oggi, poi, alcuni colpi di artiglieria sono caduti su alcuni quartieri abitati di Tripoli, e almeno sette abitazioni sono state danneggiate, con due donne ferite.
Haftar ha tentato una mossa di forza per dimostrare che le sue volontà di prendere il paese con le armi sono più forti delle richieste delle istituzioni internazionali — è anche un messaggio ai suoi sponsor, che tenendo un coinvolgimento minimo ed esterno, gli chiedono di continuare la guerra.
In Libia si teme che l’epidemia possa dilagare, e per questo il governo di Tripoli e l’amministrazione militarista in Cirenaica, così come la Comunità internazionale guidata dall’Onu, hanno chiesto concentrazione nel contenimento. L’epidemia potrebbe trovare la Libia non in grado di rispondere in termini di strutture e organizzazione medico-sanitari. In Cirenaica sono stati chiusi i collegamenti interni sotto controllo della forze haftariane, le aree amministrazione del Gna sono sotto coprifuoco. È notizia di oggi che il portavoce di Haftar è stato messo in isolamento: una forma probabilmente di carattere e preventivo perché aveva viaggiato all’estero, usata anche per proteggere l’uomo forte della Cirenaica — che ha 76 anni e condizioni di salute non eccellenti, situazione complessiva che lo espone ad alto rischio se dovesse contrarre la Covid19.
Val la pena di notare inoltre che la dichiarazione odierna è un altro dei passaggi diretti con cui il dipartimento di Stato ha attaccato Haftar, citando apertamente l’Lna, ossia il Libyan national army, nome altisonante che Haftar usa per indicare la sua milizia. Queste richieste di fermare le armi così specifiche non sono abituali nel linguaggio della diplomazia politica che ruota attorno alla Libia. L’Unione europea, per esempio, per ambiguità interne dovute essenzialmente a una doppia posizione francese, solitamente evita di nominare le parti in causa — anche quando ci sono aperte responsabilità di Haftar per danni collaterali contro i civili. Anche su questa assenza di identificazione trasparente tra aggressore e aggrediti si base la forza che ha permesso all’uomo forte della Cirenaica di innescare la nuova guerra civile.
Ieri anche l’Ambasciata italiana a Tripoli ha preso una posizione netta, accogliendo con favore la ”disponibilità” del Gna per la tregua. Nella nota però si sottolineava anche: “Nel condannare con fermezza i continuati, inaccettabili bombardamenti che negli ultimi giorni hanno colpito quartieri residenziali di Tripoli causando numerose vittime civili e da ultimo il centro storico della Capitale, rinnoviamo al Gen. Haftar ed alle sue forze la richiesta di accogliere in maniera costruttiva l’appello per una cessazione delle ostilità”.
Interessante infine notare che la posizione di Foggy Bottom rispecchia una linea che sta prendendo spazio tra gli apparati di Washington — con il Congresso che ha già proposto di sanzionare il capo miliziano per il danno collegato al blocco del petrolio che ha imposto da metà gennaio, proprio nei giorni in cui si cercava una tregua alla conferenza di Berlino. Alla linea americana però manca il peso dell’ultimo passaggio, quello dello Studio Ovale: basterebbe anche solo un tweet di Donald Trump per fermare Haftar e togliere l’ambiguità su un appoggio che è sembrato uscire dopo una non chiara telefonata tra i due il 15 aprile scorso.