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Nicola Zingaretti è il vero vincitore delle regionali. Ecco perché

Inutile girarci troppo intorno: Nicola Zingaretti è il vero vincitore delle elezioni regionali che si sono tenute ieri e stamattina. D’altronde il segretario del Pd era arrivato al voto di questo fine settimana senza i favori dei pronostici e con lo spettro di un possibile 5 a 1 che avrebbe segnato quasi sicuramente la fine immediata della sua segreteria. Così non è stato invece, nonostante tra i dem già cominciasse a prendere forma la corsa per la sua successione al Nazareno. E non si è trattato neppure di salvare il salvabile, come sarebbe accaduto in caso di 4 a 2, cioè di vittoria magari in Toscana ma di sconfitta in Puglia.

Zingaretti – che in campagna elettorale si è speso fortemente in prima persona, a volte anche senza essere pienamente sostenuto dal suo stesso partito – è riuscito a ottenere la conferma di Michele Emiliano e di Vincenzo De Luca e l’elezione di Eugenio Giani. Una vittoria politica difficile da contestare, e infatti non lo sta facendo nessuno, visto come si erano messe le cose. Un risultato che chiaramente lo rinforza dal punto di vista interno, si pensi appunto all’ipotesi che accreditavano Stefano Bonaccini come possibile nuovo segretario Pd, ma anche nelle dinamiche della maggioranza di governo.

Beninteso, questo non vuol dire che l’attuale presidente della Regione Lazio continuerà a guidare sicuramente il Pd dopo il congresso che comunque dovrà svolgersi nei prossimi mesi. Né che entrerà di certo al governo, come pure qualcuno aveva previsto prima del voto. Banalmente, o forse no, significa che nei prossimi mesi, a partire già dalle prossime ore, Zingaretti assumerà un ruolo politico sempre più importante e, probabilmente, più centrale di quello che ha ricoperto finora.

Ovvero, potrà giocare questa partita da protagonista. Da king maker, nel centrosinistra e nel governo. E, quindi, potrà decidere se rimanere a guidare la Regione Lazio oppure se provare a entrare nell’esecutivo. E anche se ricandidarsi a guidare il Pd, in una corsa che in questo caso lo vedrebbe naturalmente favorito. E certamente potrà far sentire ancora di più il suo peso, sia internamente che nei rapporti con i cinquestelle, in vista delle elezioni capitoline della prossima primavera, per le quali si è ricandidata la pentastellata Virginia Raggi.

Destini che si incrociano, inevitabilmente, con quelli del governo che sembrerebbe uscire rafforzato da questo voto, seppur sulla base di equilibri ben diversi da quelli di un anno fa. Quando il Pd accettò molte condizioni indigeste pur di dar vita al secondo esecutivo guidato da Giuseppe Conte, a partire proprio dal Sì al taglio dei parlamentari reso effettivo dal referendum di queste ore. Per non parlare della legge elettorale, dei decreti cosiddetti Sicurezza, varati al tempo del governo gialloverde ma ancora in vigore, dei tentennamenti sul Mes, a proposito del quale Palazzo Chigi non ha ancora deciso nonostante le insistenze del Pd, o della riforma della giustizia su cui non si è ancora mossa una foglia.

Tutti fascicoli sui quali è lecito attendersi una decisa accelerazione da parte del Partito democratico che a questo punto non è difficile ritenere cercherà di condizionare molto di più le scelte del governo. O, anche, di modificarne eventualmente la composizione con un rimpasto.

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