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Viva l’Europa con Sure e Recovery (ma senza Mes). La versione di Agea

L’occasione dello sforzo finanziario europeo sul Covid è ghiotta per passare da una fase prettamente emergenziale ad una strutturale, in cui tali cambiamenti diventino sistema.

Lo pensa il Sottosegretario alle Politiche Ue Laura Agea, che affronta con Formiche.net il grande tema del fondo Sure, con cui Bruxelles è andata incontro alle esigenze degli Stati membri. Secondo l’esponente grillino l’Europa ha cambiato paradigma rispetto ad un’altra crisi, simmetrica, come quella greca del 2012. E aggiunge che ad oggi l’Italia non ha tra le sue priorità quella di chiedere il Mes.

Sure, all’Italia la quota più alta della Cassa integrazione europea: i 27,4 miliardi saranno sufficienti per alleviare l’impatto del Covid?

L’intervento europeo attraverso Sure è uno di quelli che Bruxelles ha varato per dare sollievo al nostro bilancio e intervenire in un settore dove noi abbiamo subito immesso risorse importanti. L’obiettivo è stato quello di dare ossigeno ai lavoratori messi a dura prova dal lockdown. Ciò ammorbidisce la quota-parte che l’Italia ha stanziato: adesso ci saranno misure di accompagnamento per le imprese, come l’alleggerimento del cuneo fiscale, per sanare le complessità che il mondo del lavoro sta vivendo. Però ciò che rilevo come dato essenziale è che l’Europa ha compreso la bontà delle iniziative intraprese dall’Italia, fornendo uno dei più alti sostegni attraverso Sure. Dimostra che il nostro governo ha lavorato bene, anche per arginare quella che poteva essere una crisi sociale.

Secondo il ministro Gualtieri ci saranno anche risparmi per 5,5 miliardi di interessi: è questo un primo passo verso un regime europeo di riassicurazione contro la disoccupazione?

Avendo vissuto l’esperienza da europarlamentare nella passata legislatura, osservo un cambio di paradigma nelle istituzioni europee: quelle che erano considerate misure non necessarie e non armonizzabili a livello Ue, la pandemia ci ha insegnato che invece sono determinanti per affrontare in maniera unitaria crisi simmetriche come quella che stiamo vivendo e che come tali devono essere affrontate. Iniziare a parlare di misure che vanno nella direzione di una assicurazione contro la disoccupazione o di regimi di sostegno al reddito è positivo.

Cosa ha insegnato alla politica questa emergenza sanitaria?

Che a livello mondiale è necessario un cambio netto di paradigma: le vecchie regole economiche di finanza sostenibile e di vincoli di bilancio non erano sostenibili per affrontare questa fase. L’Europa sembra averlo capito, in questo modo si potrà ridisegnare l’architettura della politica macro economica europea.

Dalla crisi greca al Covid, come è cambiata la risposta europea?

Concretamente l’Ue ha risposto in modo diverso, rispetto a quella che era una crisi asimmetrica che colpì la Grecia. Lì si chiesero misure con tagli lineari e riforme strutturali molto spesso lacrime e sangue. In questo caso non appena è stato deciso il lockdown la Commissione ha sospeso il patto di stabilità e crescita, così come parallelamente il fiscal compact, mentre la Bce ha attuato un altro Qe. Ovvero interventi che, per la prima volta, hanno permesso agli Stati di varare misure importanti per affrontare l’emergenza, come i nostri tre scostamenti di bilancio per un totale di 100 miliardi. In questo modo abbiamo potuto garantire la cassa integrazione a moltissimi lavoratori e varare il reddito di emergenza per quelle famiglie sprovviste di un accesso ad altri strumenti. Per cui stavolta la risposta dell’Ue ha contrastato la vulgata degli ultimi 20 anni secondo cui da Bruxelles erano nate distorsioni, come le regole sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato. Ma non sia un intervento spot che si esaurisce confidando che gli effetti scemeranno in breve tempo. Bensì ci deve consentire di rimettere in discussione trattati e vincoli che nel tempo hanno condotto l’Ue ad un bivio: da che parte stare della storia quando un continente stanco decide di occuparsi fattivamente dei suoi cittadini, oppure proseguire in una politica scellerata e sorda alle tante fragilità sociali. Si passi dunque da una fase emergenziale ad una fase strutturale, in cui tali cambiamenti diventino sistema.

Sure è un’apertura al Mes?

Sono due cose molto diverse, l’una non è vincolata all’altra. Entrambe sono misure immaginate dalla Commissione sin dallo scorso aprile per affrontare l’emergenza. Uno Stato può chiedere Sure e non il Mes. Ad oggi l’Italia non ha tra le sue priorità quella di chiedere il Mes. Sul tema la posizione del M5S è nota da tempo: siamo contrari a questo strumento che, sebbene in entrata abbia alleggerito fortemente le sue condizionalità, prevede un piano programmatico da parte di chi lo chiede e l’approvazione del programma tarato sull’avanzamento dei lavori. Come criticità resta la base giuridica sulla quale il Mes è poggiato: l’articolo 14 del suo trattato istitutivo contempla un sistema di alert che si attiva tutte le volte in cui uno Stato ha difficoltà a finanziarsi sul mercato. Siamo consapevoli che il debito italiano è perfettamente sostenibile e garantito da un risparmio che probabilmente è tra i primi al mondo, ma si entrerebbe in un meccanismo in cui si verrebbe gestiti da un soggetto terzo diverso dalla Commissione Ue, come il board del Mes, che lavora su regole tecniche e algoritmi, senza tenere conto dell’architettura di un Paese.

Troverà attuazione la proposta di Mario Draghi di un ministro del Tesoro comunitario?

Credo che per costruire una casa si debba partire dalle fondamenta. Con un’Europa a più velocità, trovo molto difficile pensare che un ministro del Tesoro Ue riesca a garantire una parità. Prima di parlare di un ministro del Tesoro comunitario, cosa che condivido fino ad un certo punto data la diversa natura economica degli Stati membri, credo sia necessario un passaggio sostanziale: l’armonizzazione delle regole di fiscalità, eliminando i cosiddetti paradisi fiscali che esistono all’interno dell’Ue al fine di disinnescare le pratiche di concorrenza sleale; rivedere le politiche degli aiuti di Stato permettendoli laddove sono fondamentale; modificare le regole del lavoro anche alla luce del dumping salariale subito dall’Italia.

twitter@FDepalo


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