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Ortega y Gasset contro l’uomo-massa. 90 anni fa usciva “La ribellione delle masse”

“Per massa non si intenda specialmente l’operaio; non designa qui una classe sociale, ma un tipo o un modo d’essere dell’uomo che si ritrova oggi in tutte le classi sociali, che per ciò stesso rappresenta il nostro tempo, su cui esso prevale e domina”, avvertiva oltre settant’anni fa José Ortega y Gasset, aggiungendo che “a rigore la massa può definirsi, come fatto psicologico, senza necessità d’attendere che appaiano gli individui come agglomerato. Anche per una sola persona possiamo sapere se è massa o no. Massa è tutto ciò che non valuta se stesso ‑ né in bene né in male ‑ mediante ragioni speciali, ma che si sente ‘come tutto il mondo’, e tuttavia non se ne angustia, anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri”. Egli delineava così i tratti salienti di una nuova tipologia umana che era nata solamente da poco tempo e che nel periodo in cui scriveva si andava sempre più diffondendo.

La ribellione delle masse, il saggio che rese noto l’autore spagnolo in tutta Europa, abbozzava fin dal 1930 una morfologia della società moderna, tratteggiandone e prevedendone aspetti e manifestazioni, esiti e conseguenze che solamente dopo la catastrofe del secondo conflitto mondiale si sarebbero realizzati, sviluppati ed ingigantiti in tutta la loro drammaticità. (L’articolo è tratto da I Proscritti, pensatori alla sfida della modernitàRiccardo Pedrizzi, Editrice Pantheon).

Il saggio, quindi, che potrebbe rappresentare anche oggi una base teoretica dalla quale partire per approfondire l’ermeneutica e la valutazione di certi fenomeni, che si sono andati via via manifestando ed aggravando, viene considerato, invece, dalla cultura ufficiale poco più che un classico datato, del quale, tuttalpiù, se ne apprezza la lungimiranza e la capacità di previsioni.

Eppure Ortega y Gasset  aveva, tra i primi, posto in guardia contro i pericoli di omologazione che stava correndo l’uomo contemporaneo coll’irrompere delle masse sulla scena della storia: “La massa travolge tutto ciò che è differente, singolare, individuale, qualificato e selezionato. Chi non sia come ‘tutto il mondo’, chi non pensi come ‘tutto il mondo’ corre il rischio di essere eliminato. Ed è chiaro che questo ‘tutto il mondo’ non è ‘tutto il mondo’. ‘Tutto il mondo’ era normalmente l’unità complessa di massa e minoranze discrepanti, speciali. Adesso ‘tutto il mondo’ è soltanto la massa”. E nello stesso tempo prendeva posizione contro la rottura traumatica con il passato: “Questa grave dissociazione tra passato e presente è il fatto più generale della nostra epoca, e in essa va incluso il sospetto, più o meno confuso, che ingenera il particolare sgomento della vita in questi anni. Avvertiamo che improvvisamente siamo rimasti soli sulla terra; che i morti non morirono per finta, ma definitivamente; che ormai non possono più aiutarci. I resti dello spirito tradizionale si sono evaporati”.

Proprio partendo da questa dolorosa constatazione, egli si pose in aperto contrasto con quelle tradizioni spagnole che non gli sembravano più feconde e vitali e con i pregiudizi nazionalistici che reputava potessero impedire alla sua patria ed a tutte le patrie d’Europa di riprendere in un contesto più vasto e continentale il ruolo di soggetto attivo di storia e di civiltà che spettava loro (Cfr. España invertebrada, saggio del 1922).

Questa posizione ‑ diciamo così – controcorrente Ortega y Gasset doveva assumerla fin da giovane, quando aveva pubblicato il suo manifesto politico Vieja y nueva politica del 1914, colla speranza di agitare le coscienze della Spagna e di spingerle a creare delle minoranze attive che fossero in grado di guidare la sua patria.

Era nato a Madrid il 9 maggio 1883 ed aveva studiato filosofia a Lipsia, Berlino e Marburgo, ottenendo nella capitale spagnola la cattedra di metafisica.

Si era fatto conoscere subito con uno studio su Cervantes, Meditaciones del Quijote ed iniziò a collaborare al quotidiano El sol, sul quale apparvero i vari capitoli di España invertebrada e de La redencion de las provincias (1927‑1928). Nel luglio 1923 fondava e dirigeva la Rivista de Occidente, che insieme alla Biblioteca de ideas del siglo XX avrebbe messo in circolazione e fatto conoscere al grande pubblico spagnolo le opere più significative del pensiero contemporaneo.

Pur restando al di fuori dello scontro fratricida che insanguinò la sua nazione, Ortega y Gasset dovette subire il carcere e fu costretto all’esilio, a cui pose termine alla fine dell’ultima guerra mondiale, riprendendo la sua attività di ricerca e di studio, che durerà fino alla sua scomparsa avvenuta a Madrid nel 1955. Sarebbe molto lungo enumerare tutti i suoi saggi e le sue pubblicazioni, ci limiteremo, perciò a citarne solamente alcuni tra i più importanti che potrebbero interessare in questa sede: El tema de nuestro tiempo, Mirabeau o el politico, Kant, Historia como sistema, Del imperio romano. Questi testi sono stati tutti tradotti in italiano.

È indubbio che alcuni aspetti della sua analisi della società mantengono ancora oggi tutta la loro attualità e validità. L’uomo massa di Ortega y Gasset, infatti, come ce lo descrive, è proprio il nostro contemporaneo, il nostro vicino di casa, il parlamentare da noi eletto, l’uomo di scienza che va per la maggiore, noi stessi. Basta guardarsi intorno, ad esempio, per constatare quanto sia diffusa oggi, in Occidente in particolare, la figura del “signorino soddisfatto” già intravista fin dal 1930 dal pensatore spagnolo.

L’uomo contemporaneo, cioè, è come un bambino viziato dalla storia dell’umanità, dalla quale ha ereditato le comodità, la sicurezza, tutti i vantaggi della civiltà, senza correre pericoli, soprattutto, senza avere un suo progetto di vita che dia significato alla propria esistenza. Ha tutto e non ha fatto nulla per ottenerlo, perciò “questo squilibrio lo falsifica, lo vizia alla radice del suo essere vivente, facendogli smarrire il contatto con la sostanza stessa della vita, che è un assoluto pericolo, una fondamentale problematicità”. Egli può fare tutto quello che gli piace e vive nell’illusione di essere perennemente un “figlio di famiglia”, che crede di potersi comportare fuori casa come dentro; per questo ha la propensione a fare dei giochi e degli sport l’occupazione centrale della vita; per questo ha cura del proprio corpo ed è attento all’eleganza. Per lui nulla è fatale ed irrimediabile ed irreversibile e “non potrebbe comportarsi diversamente questo tipo d’uomo nato in un mondo troppo bene organizzato, di cui soltanto sente i vantaggi e non i pericoli. L’ambiente lo vizia, perché è ‘civiltà’ ‑ vale a dire una casa ‑ e il figlio di famiglia non avverte nulla che lo faccia uscire dal suo clima capriccioso, che lo inviti ad ascoltare istanze estreme, superiori a lui, e tanto meno che lo costringa a prender contatto con il fondo inesorabile del suo stesso destino”.

Ma “uomo massa” non è solamente l’impiegato borghese, l’operaio proletario, il nobile decaduto che scimmiotta l’antenato aristocratico, ma anche lo scienziato, anzi soprattutto lo scienziato, che ne è il prototipo e che nel giro delle ultime tre generazioni “s’è andato limitando, rinchiudendo, in un campo d’occupazione intellettuale sempre più ristretto… perdendo contatto con le altre parti della scienza, vale a dire con una interpretazione totale dell’universo, che è l’unica a meritare i titoli di scienza, cultura, civiltà europea”.

Per questo, tutto il lavoro che nei settori scientifici è stato portato avanti – il famoso ed acclamato progresso scientifico ‑ può essere assimilato a niente più che a un lavoro meccanico, che qualsiasi persona, anche la più modesta intellettualmente e la più mediocre, potrebbe eseguire.

Ne risulta che proprio quando vi è maggior numero che si sia mai avuto al mondo di uomini di scienza, ci siano molto meno uomini colti; sicuramente di meno di quanti ve ne fossero nel 1750.

Tutto ciò può succedere perché il mondo, i popoli, le nazioni e gli individui, sono soggetti ad una vera e propria decomposizione morale, essendo saltato ogni rapporto di comando ed ubbidienza. E non perché si siano invertiti i ruoli e siano cambiati i soggetti, ma perché sono stati travolti tutti i principi che obbligano a vivere in un certo modo: “Una vita senza impegni è più negativa della morte”.

Che l’Europa abbia cessato di comandare poco importa per Ortega y Gasset, il dramma è che né New York né Mosca siano stati in grado di prenderne il posto: “Sono l’una e l’altra due parcelle del comando europeo, che, nel dissociarsi dal resto, ne hanno smarrito il senso”. Ma allora, poiché nessuno é più capace di comandare e di obbedire, nel senso inteso dallo scrittore (“ciò che gli si comanda é, in definitiva, di partecipare a un’impresa, a un grande disegno storico. Per questo non c’è impero senza programma di vita, e precisamente senza un piano di vita imperiale”), e nessun lo sarà più nemmeno per il futuro, 1a storia è veramente finita? Prima o poi sarà inevitabile tornare allo stato di caos iniziale?

È una domanda che già si poneva Ortega y Gasset nel 1930 in La ribellione delle masse e che, dopo gli avvenimenti degli ultimi tempi, è ritornata di attualità.

“Adesso ‑ scriveva ‑ si apre un’altra volta l’orizzonte verso nuove linee incognite, dato che non si sa chi potrà comandare e non si sa come si articolerà il potere sopra la terra. Chi potrà comandare, cioè, quale popolo o gruppo di popoli; e però quale tipo etnico: e quindi quale ideologia, quale sistema di preferenze, di norme, di slanci vitali… Non si sa verso quale centro andranno a gravitare in un prossimo avvenire le cose umane, e perciò la vita del mondo si abbandona a una scandalosa provvisorietà… L’esistenza attuale è frutto d’un interregno, di un vuoto fra due organizzazioni del comando storico: quella che fu, quella che sarà. Perciò è per essenza provvisoria. E gli uomini non sanno bene a quali istituzioni veramente aderire, né le donne sanno che tipo d’uomo veramente preferire”.

Ed allora all’uomo europeo non resterà altro che lanciarsi nell’avventura della costruzione di una grande impresa, perché l’Europa torni a credere in se stessa, nel proprio destino e nel proprio futuro.

 



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