Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha avuto una conversazione telefonica con Recep Tayyp Erdogan, il presidente turco, con cui ha affrontato il problema delle tensioni nel Mediterraneo orientale. Là una nave turca sta stendendo cavi sismici per esplorazioni geofisiche finalizzate alla ricerca di idrocarburi in un’area che la Grecia inquadra come propria piattaforma continentale ma la Turchia ne contesta la legittimità (con rivendicazioni territoriali storiche, che in questo periodo si stanno riaccendendo).
La telefonata di Conte segue uno sforzo diplomatico su cui l’Italia è allineata agli Stati Uniti e all’Unione europea per evitare escalation in una situazione in cui non sono mancate provocazioni (anche attraverso la diffusione di informazioni false e/o alterate sia da Atene che da Ankara) e i mezzi militari delle due flotte sfilano a poca distanza l’uno dall’altro. Nei giorni scorsi c’era stato un primo contatto tra ministri degli Esteri di Roma e Ankara, ora a parlarsi sono le massime autorità istituzionali.
Da Washington, l’impegno è analogo. Non c’è – come ovvio – il riconoscimento di un fronte legittimato rispetto all’altro, ma soltanto la richiesta di riportare tutto sulla strade del dialogo. Il problema, come su queste colonne fa notare il politologo esperto di relazioni internazionali Vittorio Emanuele Parsi, è che sia più complicato trovare una quadra in questo confronto tra alleati Nato proprio per il loro status. Il rischio però è la creazione di una debolezza strutturale all’interno dell’alleanza che favorisca le penetrazioni di potenze rivali come Cina e Russia.