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Accordo col Niger (e non solo). Cosa cerca Erdogan in Africa

La proiezione internazionale turca è simbolica, narrativa al limite propagandistica. Il paese con ogni probabilità non ha la forza per mantenere i tanti fronti attivi, ma sfrutta il momento — la distrazione e gli spazi concessi dalla pandemia — per lanciarsi. Possibile che il presidente Recep Tayyp Erdogan abbia pensato all’attivismo extraterritoriale anche come metodo per distogliere l’attenzione dai vari problemi interni (su tutti: l’economia non corre più come qualche anno fa, presupposto per l’innesco di sfaldamenti della coesione sociale, sempre sotto stress dalla morsa repressiva che la presidenza impone come metodo per il controllo delle masse). Oppure che cerchi di sfruttare cooperazioni e interventi all’estero come leva per il recupero. O più probabilmente entrambi, il tutto condito da sogni e ambizioni di grandezza.

E non manca la competizione. Un esempio piuttosto esplicativo: la scorsa settimana il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, era in Africa per un tour interessante. Passato prima per il Togo, è poi arrivato a Niamey, capitale del Niger. Tappa centrale di tre giorni di viaggio: ha annunciato di aver siglato un accordo di cooperazione. Çavuşoğlu è il vettore della politica estera di Erdogan, val la pena ricordarlo, ed è un diplomatico ritenuto piuttosto in gamba da molte cancellerie. L’accordo col governo nigerino si basa sullo sviluppo di trasporti, costruzioni, energia, miniere e agricoltura, ossia un’intesa per assistere nello sviluppo del paese. E in più sulla sicurezza. Il Niger è un territorio complesso, pervaso di infiltrazioni jihadiste che si mescolano alla criminalità del contrabbando. Contesto difficile dove operano già diversi paesi stranieri, tra questi l’Italia, gli Stati Uniti, la Germania e la Francia.

Proprio guardando a Parigi, la cooperazione Turchia-Niger assume più significato. Turchi e francesi sono ai ferri corti, uno scontro a cavallo del Mediterraneo tra i due estremi del bacino. La presenza di una partnership turco-nigerina è un potenziale elemento di disturbo per i piani francesi. E per Ankara è un doppio successo. Anzi triplo: il Niger è un territorio cruciale per la Libia. Il confine nord-orientale si perde nel Fezzan ed è rotta per il traffico di esseri umani verso il Mediterraneo dall’Africa sub-sahariana. Una sorta di manovra di accerchiamento se si considera il peso che la Turchia ha acquisito a Tripoli, aiutata a rompere l’assedio haftariano contrattaccando. Il tutto riguarda anche il confronto di Ankara col Cairo, che ha come tema di fondo la Libia ma si proietta più in profondità. Sempre con un esempio: nelle scorse settimane il ministro degli Esteri turco aveva fatto registrare la sua presenza in Etiopia, paese al centro di una diatriba delicatissima con l’Egitto per via della diga sul Nilo Blu.

Non meno interessante infine, l’ultima tappa della più recente delle visite di Çavuşoğlu, quella nella Guinea Equatoriale. Malabo è uno dei pochi (sette) stati dell’Africa subsahariana ad aver raggiunto lo status di paese a medio reddito, aspetto non indifferente per le mobilitazioni di investimenti stranieri; è terzo produttore di petrolio della regione dopo Nigeria e Angola; è in una posizione importante sull’Atlantico. Il ministro di Ankara ha inaugurato la prima ambasciata turca nel paese, così come fatto in Togo. La Maarif Foundation e lo Yunus Emre Institute fanno parte degli enti che hanno stretto relazioni bilaterali anche sul piano culturale, oltre all’apertura di un nuovo scalo della Turkish Airlines. Erdogan era stato già nel 2014, ma ora il forcing internazionale di Ankara è molto più serrato.

(Foto: Twitter,  @mevlutcavusoglu, il ministro turco in Niger



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