Tanto tuonò, che piovve. Tutto si può dire di Donald Trump, tranne che non sia di parola. Quando dice che farà qualcosa (sanzioni, muri ai confini, inasprimento dei dazi, dispiegamento di flotte, e cosi via), possiamo stare ben certi che prima o poi procede davvero. In genere non si tratta di cose gradevoli, e in questo non ha troppi riguardi nemmeno per gli alleati. Per fortuna – e questo rientra nella sua natura di tycoon – i suoi interessi di solito sono di carattere economico-commerciale, e così anche le sue guerre sono combattute in questo ambito. Nulla di ideologico, ma solo interessi di altra natura. Misure drastiche, ma che spesso vengono annacquate strada facendo.
Ho detto per fortuna, perché è assai difficile che un personaggio del genere, votato al business e al potere reale per se e per l’America, scateni guerre cruente, con eserciti, stormi, missili e bombe atomiche. Magari le flotte sì, quelle le muove in avanti con una certa facilità, perché fanno presenza senza dover necessariamente sparare, e servono egregiamente la politica come minaccia intrinseca, senza fare danni e provocare guai. Se pesiamo bene, al di là delle impuntature di Bush figlio, le guerre cruente hanno quasi sempre avuto un sigillo democratico. Vedasi Vietnam, voluto da Kennedy, portato avanti maldestramente da Johnson e finalmente “risolto” dl repubblicano Nixon, pur se già in odore di Watergate.
È in questa luce che va riguardato anche il ritiro di 11.900 militari dalla Germania, appena annunciato in conferenza stampa da Mark Esper, segretario alla Difesa. È probabile che i generali del Pentagono non siano molto d’accordo, ma di fronte alla politica sono costretti ad abbassare il capo, pur senza battere i tacchi. Sanno bene che le Forze Armate, nel bene e nel male, oltre che fattore di potenza sono strumento di politica. Soprattutto con un comandante in capo come Donald Trump. Il quale comunque deve fidarsi di loro, perché sa bene che in caso di reale pericolo “militare” saprebbero benissimo come fare non solo a ripristinare in breve tempo i numeri in Germania e in Europa, ma persino a duplicarli.
Ricordate le esercitazioni biennali ReForGer (Return for Germany) durante l’ultimo decennio di Guerra fredda? Forse no, ma rimettevamo tutto a posto come prima, magari raddoppiando. I piani ci sono ancora e restano validi. Sicuramente ricordate l’esercitazione Defender Europe 20, ridotta e poi stoppata dal quartier generale Usa di Stoccarda a metà dello scorso marzo, a causa dell’emergenza Coronavirus. Serviva proprio a questo. Figuriamoci se, operativamente, può preoccupare davvero il ritiro dalla Germania (dove sono presenti 36 mila soldati Usa) di un contingente di 11.900 militari, dei quali 5.600 resteranno in Europa, ridistribuiti tra i Paesi Nato. Quindi, questo ritiro non va considerato un evento operativo, ma solo l’esercizio di uno strumento politico, non militare. In fondo, sottrarre all’economia tedesca anche una sola briciola (alcune migliaia di soldati) rappresenta una sanzione minima, solo dimostrativa. Ma, per quanto simbolica, è pur sempre una sanzione.
Il presidente Trump non è soddisfatto del rapporto con la Nato, e, soprattutto, del rapporto con Angela Merkel. Pur nella freddezza di un linguaggio molto asciutto, le punzecchiature tra i due sono frequenti. Una nota di agenzia di un paio di mesi fa, nel preannunciare l’intendimento di Trump di togliere dalla Germania 9.500 soldati, sottolineava il malcontento per il costo “troppo elevato” del sostegno alle truppe, puntando il dito contro l’insufficiente apporto tedesco. Stizzita, la Merkel definiva questa azione inaccettabile. Risultato? Quale dispettuccio finale, ora Trump ha deciso di ritirare dalla Germania 2.400 soldati in più rispetto a quelli allora preannunciati.
Tutti i presidenti americani si sono sempre lamentati del fatto che spendiamo troppo poco per la Nato. Trump, sotto elezioni, è costretto a passare ai fatti. Diamoci da fare, allora, ma senza farne una tragedia: il taglio è operativamente irrilevante e, se la Russia o la Cina davvero volessero invaderci, stiamo pur certi che lo Zio Sam per la terza volta correrà in Europa e ci salverà.