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Autostrade, cosa mi aspetto da Cdp. L’auspicio di Giacomoni (FI)

Avanti, adagio. L’operazione Cdp-Autostrade, che porterà a un riassetto nel capitale della controllata di Atlantia (a sua volta partecipata al 30% dalla holding della famiglia Benetton, edizione) ha un suo senso industriale, ma occorrono tutte le accortezze del caso per non trasformare un’operazione nei fatti di mercato in un qualcosa di molto simile a una nazionalizzazione. Il gioco, comunque, può riuscire. Di questo è più che convinto Sestino Giacomoni, deputato di Forza Italia, membro del coordinamento azzurro e dalla scorsa primavera presidente della commissione di vigilanza sulla Cassa. E che lo scorso giovedì ha audito in commissione i vertici di Via Goito, proprio sul dossier Autostrade.

Giacomoni, lei ha più volte respinto l’idea di una nazionalizzazione di Autostrade. Il rischio sembra non esserci, Cdp è fuori dal perimetro della Pa, ma è pur sempre una società controllata dal Mef. E allora, è giusto parlare di operazione di mercato oppure c’è qualcos’altro dietro?

Ribaltiamo la domanda: senza un intervento dello Stato, Cdp si sarebbe interessata ad Aspi? Forse, ma non lo possiamo dire con certezza. L’intervento di Cdp, seppure ispirata a logiche di mercato, è comunque un intervento prospettato dallo Stato e rappresenta a detta di molti esponenti della stessa maggioranza una nazionalizzazione, anche se non in senso classico.

Insomma, quale è allora la natura dell’operazione?

Stando a quanto detto dai vertici di Cdp, in audizione presso la Commissione di vigilanza da me presieduta, il tipo di intervento che metteranno in campo esclude che si possa parlare di una nazionalizzazione. Anche perché ricordo che Cassa Depositi e Prestiti è una market unit e, di conseguenza, nei suoi investimenti deve sempre seguire criteri e logica di mercato. È noto a tutti che questo governo aveva assunto l’obiettivo di togliere a un privato la concessione e nel breve periodo questo era l’unico mezzo. A questo punto il mio auspicio è che Cdp, come riferito dall’ad Palermo (Fabrizio, ceo della Cassa, ndr) sempre in audizione, valuti attentamente la sostenibilità economica finanziaria dell’operazione e la sua redditività, visto che sono in gioco i risparmi postali.

Ha altri auspici Giacomoni?

Sì. Auspico che si tratti di un intervento volto a rendere la società nuovamente un operatore privato redditizio e rispettoso degli obiettivi di ammodernamento della rete autostradale con una struttura tariffaria migliore e più efficiente. Il compito di Cdp è quello di contribuire allo sviluppo del Paese, ma avendo sempre presente che gli interventi messi in atto devono innanzitutto tutelare il risparmio postale e garantire un ritorno al risparmiatore, cosa che Cassa Depositi e Prestiti fa da 170 anni.

Giacomoni, in questi anni abbiamo assistito a un progressivo coinvolgimento dello Stato nell’economia. E il ricorso alla Cdp sembra essere diventata una costante. Condivide questa lettura?

Questo governo sta facendo dell’intervento dello Stato una costante in qualsiasi circostanza. Che si chiami Stato imprenditore o Stato traghettatore, è sempre più massiccia la presenza dello Stato nell’economia del nostro Paese. E purtroppo la crisi ha acuito questa situazione.

Uno scenario che non le piace, immagino…

Penso che un mercato regolato e orientato sia migliore di questo interventismo, tuttavia dobbiamo anche essere consapevoli che oggi interi settori stanno franando e la politica deve trovare una strategia per salvare imprese, posti di lavoro e posizionamenti strategici del Made in Italy. A fronte di quello che fanno altri Stati, dobbiamo difendere le nostre aziende. Occorre, comunque, sempre ricordare che Cdp analizza ciascuna operazione nell’ambito di un articolato processo istruttorio volto a verificare la coerenza dell’investimento con la normativa di riferimento ed il proprio statuto. Non è un caso che nel corso del tempo diversi interventi di Cdp prospettati dal governo, poi non si sono verificati, proprio perché non rispettavano i criteri di sostenibilità economica-finanziaria e di redditività del risparmio postale, come ad esempio sulla questione Alitalia.

Allarghiamo lo sguardo. La vicenda Autostrade ha mandato messaggi equivoci ai grandi investitori internazionali, ai fondi, ora chiamati anche a partecipare al nuovo assetto societario. Molti di essi sembrano non aver compreso l’ingerenza della politica in una realtà privata e quotata. Secondo Lei hanno ragione?

Purtroppo non vi è dubbio che stia crescendo una certa diffidenza per come appare regolata l’economia italiana e anche per come interviene lo Stato. Di certo le maggioranze guidate dai grillini non hanno fatto grandi sforzi per smentire un’apparente tendenza anti impresa. Questo comportamento è però pericolosissimo.

Che cosa rischiamo?

Vi è il rischio che gli investitori privati e i fondi esteri diminuiscano la propensione a investire in Italia. Non possiamo permetterci di dare l’immagine di un Paese in cui ai problemi della giustizia, del mercato del lavoro, della burocrazia, si aggiungano anche dubbi sul rispetto dello stato di diritto.

Ha qualche suggerimento?

La mia proposta di creare un Fondo sovrano pubblico-privato in cui far confluire le risorse del Recovery Fund ed il risparmio privato per far ripartire la nostra economia va proprio in questa direzione: da un lato la presenza dello Stato è una garanzia, dall’altro la presenza di soggetti privati serve a garantire che gli investimenti siano sostenibili, redditizzi e appetibili.

Giacomoni, il ceo delle Generali, Philippe Donnet, ha rilanciato la necessità di un patto tra Stato e privati. Lei che dice?

L’auspicio di Donnet, per un patto pubblico-privato nell’impiego delle risorse del Recovery Fund è assolutamente condivisibile. Alla presenza dello Stato nella vita delle aziende preferiamo di gran lunga la partecipazione delle aziende al dibattito che riguarda la gestione della cosa pubblica.



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