Si arresta in Italia la crescita demografica ma aumenta la cementificazione: nel 2019 sono nati 420mila bambini e abbiamo consumato 57 milioni di metri quadrati di suolo, al ritmo di 2 metri quadrati al secondo. È come se ogni bambino che nasce portasse con sé ben 135 metri quadrati di cemento. Lo spreco di suolo continua ad avanzare nelle aree a rischio idrogeologico e sismico e tra le città italiane, anche se non mancano segnali positivi: la Valle d’Aosta, con solo 3 ettari di territorio impermeabilizzato nell’ultimo anno, è la prima regione italiana vicina all’obiettivo “Consumo di suolo 0” e si dimezza la quantità di suolo persa in un anno all’interno delle aree protette.
Sono alcuni dei dati contenuti nel Rapporto “Il consumo di suolo in Italia 2020”, presentato oggi da Ispra, l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale.
Introducendo la presentazione del Rapporto, il presidente di Ispra Stefano Laporta, ha sottolineato l’importanza di poter avere “un quadro aggiornato dei processi di trasformazione del nostro territorio che continuano a causare la perdita di una risorsa fondamentale e non rinnovabile, come il suolo. Il riconoscimento del valore del capitale naturale è un tema cui ci richiama l’Europa con il Green Deal, fondamentale per noi alla luce delle particolari condizioni di fragilità climatiche del nostro Paese. I dati del Rapporto sono fondamentali in questa fase di predisposizione di una normativa nazionale sul consumo di suolo, attualmente in discussione in Parlamento. Una normativa che possa finalmente garantire il progressivo rallentamento e l’azzeramento del consumo di suolo in Italia”.
Vediamoli questi numeri. Il Veneto, con +785 ettari, è la regione che nel 2019 ha consumato più suolo, seguita da Lombardia (+642 ettari), Puglia (+642 ), Sicilia (+611) ed Emilia Romagna (+404). La Valle d’Aosta è la prima regione a consumo prossimo allo zero (solo 3 ettari in più). Umbria, Liguria, Molise, Basilicata e Trentino Alto Adige sono le altre regioni che quest’anno hanno avuto incrementi inferiori ai 100 ettari. Tra i Comuni vince, si fa per dire, Roma con un incremento nell’ultimo anno di 108 ettari, seguito da Cagliari (+58 ettari) e Catania (+48 ettari). Va meglio a Milano, Firenze e Napoli con un consumo inferiore ad un ettaro negli ultimi dodici mesi (negli ultimi 7 anni + 125 ettari a Milano, + 16 a Firenze e +24 a Napoli). Torino, dopo la decrescita del 2018, riprende a costruire perdendo 5 ettari di suolo naturale.
Le buone notizie arrivano dalle aree protette. Nel 2019 gli ettari di suolo compromesso sono 61 e mezzo, valore dimezzato rispetto all’anno precedente. Di questi quasi 15 ettari nel Lazio e oltre 10 in Abruzzo. Cattive notizie, invece, dalle coste, già cementificate per quasi un quarto della loro superficie, il consumo di suolo cresce con un’intensità 2-3 volte maggiore rispetto a quello che avviene nel resto del territorio. E ancora, negli ultimi 7 anni, tra il 2012 e il 2019, la perdita dovuta al consumo di suolo per le produzioni agricole ha raggiunto i 3 milioni 700mila quintali, il cui danno economico stimato è di quasi 7 miliardi di euro.
Ma dal cemento si può tornare indietro? Secondo il sottosegretario al ministero dell’Ambiente Roberto Morassut “sì, si può tornare indietro. Ci sono oggi le condizioni tecnologiche per riconquistare territori impermeabilizzati e la possibilità di utilizzare nuovi materiali da costruzione che abbiano le caratteristiche di essere meno impattanti per l’ambiente. Esiste la possibilità concreta di immaginare nuove città basata su un nuovo modello di sviluppo urbano e industriale. Determinare le condizioni per uno stop al consumo di suolo fino all’obiettivo zero di metà secolo, occorre intervenire sui meccanismi industriali e sui processi economici che determinano l’espansione delle aree urbane in maniera indiscriminata. Per questo nel Collegato Ambientale verranno anticipate alcune delle normative contenute nei vari disegni di legge in discussione in Parlamento, proponendo una riforma che consenta di abbattere la pressione fiscale sulle imprese a fronte di precisi impegni da parte delle aziende di grande qualità: prestazioni energetiche, utilizzo di materiali performanti e servizi urbani qualificati”.
Le nuove coperture artificiali non sono l’unico fattore di degrado del suolo e del territorio, che è soggetto a diversi processi: la perdita di produttività e di carbonio organico, l’erosione, la frammentazione e il deterioramento degli habitat. La stima delle aree degradate per valutare la distanza che ci separa dall’obiettivo della Neutralità del Degrado del Suolo, previsto dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, evidenzia che solo dal 2012 al 2019 le aree molto degradate sono aumentate di oltre 1.643 chilometri quadrati e quelle con forme di degrado più limitato addirittura di 14 mila km quadrati.
“Dobbiamo purtroppo registrare troppi ritardi su un tema che è centrale per il nostro Paese – ha detto il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini concludendo i lavori della presentazione del Rapporto –. Consumare suolo in Italia significa bruciare una risorsa che permette al nostro Paese di essere competitivo nel mondo con la bellezza, l’ arte, la storia, il paesaggio. Valori che la stessa Costituzione annovera tra i suoi principi fondamentali. Occorre intervenire sulle periferie urbane con “rammendi urbani”, come dice Renzo Piano, riqualificare, recuperare, sperimentare anziché consumare suolo. Così anche per le aree industriali dismesse che oltre ad essere bonificate possono anche essere riqualificate. Adesso, poi, abbiamo anche un’opportunità unica attraverso l’utilizzo dei fondi europei per rilanciare l’Italia dei prossimi anni e farlo in una direzione specifica in modo che ogni scelta sia legata ad uno sviluppo sostenibile e duraturo”.