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Dov’è finita la Difesa comune? Ecco cosa ha deciso il Consiglio europeo

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Partirà col freno a mano la Difesa comune europea, vittima eccellente (ma silenziosa) dell’accordo raggiunto a Bruxelles dopo quattro intense giornate di trattative. Il “momento storico” descritto da Giuseppe Conte e l’intesa sul Recovery Fund sembrano accontentare tutti, ma il duro braccio di ferro con i “frugali” ha lasciato sul campo vittime eccellenti nell’ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale dell’Unione (2021-2027). Al Fondo europeo di Difesa (Edf) vanno 7 miliardi rispetto ai 13 proposti da Bruxelles. La mobilità militare, tema caro alla Nato, avrà una dotazione di 1,5 miliardi (se ne prevedevano 6,5), mentre per la European Peace Facility dedicata alle missioni militari oltre i confini dell’Ue si è confermato il dimezzamento da 10 a 5 miliardi.

I NUMERI (AL RIBASSO)

In un bilancio pluriennale da 1.074 miliardi di euro per sette anni, al capitolo “Sicurezza e Difesa” ne vanno 13,2. L’attenzione maggiore è per l’Edf, lo strumento con cui l’Ue vorrebbe stimolare l’integrazione e la cooperazione nel settore Difesa andando a finanziare progetti di ricerca e di sviluppo in campo miliare. Sarà dotato di 7 miliardi, cioè 1 all’anno, in media 37 milioni annui per Paese membro. “Contribuirà all’autonomia strategica dell’Unione europea e alla capacità di lavorare con partner strategici e sostenere progetti coerenti con le priorità in materia di capacità di difesa concordate congiuntamente dagli Stati membri”, si legge sul documento conclusivo del difficile Consiglio europeo degli ultimi giorni.

IL COMMENTO DI CAMPORINI

Eppure, ci ha spiegato il generale Vincenzo Camporini, consigliere scientifico dello Iai e già capo di Stato maggiore della Difesa, “con questi numeri l’incentivo a collaborare per gli Stati membri viene meno”. Senza risorse abbondanti, ha aggiunto, per Bruxelles “non c’è possibilità di creare economie di scala, né la possibilità di spingere i Paesi a ricercare forme di collaborazione e integrazione”. D’altra parte, si tratta di strumenti erogabili nella forma del co-finanziamento, a cui gli Stati sono chiamati a contribuire se desiderano che le proprie aziende partecipino. La logica (già sperimentata nel programma pilota Edidp 2019-2020) è creare con le risorse di Bruxelles un effetto domino sui finanziamenti nazionali su progetti che rispondono a comuni esigenze operative. Con 7 miliardi, l’ambizione sembra inevitabile abbassarsi.

LE PROPOSTE

Il tema non è comunque dell’ultimo lungo weekend. Già prima che il Covid-19 si abbattesse sull’Europa, i negoziati tra Stati membri sul quadro pluriennale si erano rivelati particolarmente complessi, “i più difficili di sempre” secondo alcuni partecipanti al vertice di febbraio. Nel tritacarne era finito anche l’Edf. Nella proposta del 2018, la Commissione prevedeva infatti di destinarvi 13 miliardi di euro per i prossimi sette anni. Dopo un primo round negoziale, coordinato dalla presidenza di turno finlandese del Consiglio dell’Ue, sono scesi a poco più di sei. Poi, la proposta sul bilancio è finita sul tavolo del presidente Charles Michel, che ha ritoccato i numeri complessivi portando l’Edf a 7 miliardi. Al Consiglio europeo di febbraio, la ricerca di un compromesso dell’ultimo minuto si è conclusa nella paradossale proposta della Commissione con un “non paper” che tornava a ridurre il Fondo di circa 900 milioni.

L’EFFETTO COVID CHE È MANCATO

A rimescolare le carte è poi arrivato Covid-19. Negli ultimi mesi, da esperti (autorevoli), addetti ai lavori (di primo piano) e rappresentanti istituzionali (di diversi Paesi membri) è così emerso l’auspicio (spesso trasformato in appello) che l’esigenza di ridefinire nel complesso il quadro pluriennale facesse rivedere anche quanto previsto per l’Edf, tornando almeno alla originaria proposta da 13 miliardi. A maggior ragione di fronte a scenari del tutto imprevedibili per la sicurezza internazionale, con la pandemia ad accelerare e fragilizzare diversi contesti e processi. Un piccolo segnale è arrivato dalla Commissione targata Ursula von der Leyen, che a fine maggio presentava il “Next Generation Eu” insieme alla nuova proposta per il quadro pluriennale, con 8 miliardi per l’Edf. Ancora pochi, tanto da spingere Lorenzo Guerini e i colleghi di Francia, Spagna e Germania a scrivere una lettera all’Alto rappresentante Josep Borrell chiedendo alla Commissione (e agli altri Stati membri) di procedere con determinazione sui vari progetti, dalla cooperazione strutturata permanente (Pesco) all’Edf. Tema poi ribadito nei diversi incontri bilaterali e vertici, compresi quelli che hanno coinvolto i vertici militari. A nulla è servito di fronte al duro braccio di ferro degli ultimi giorni, e così l’Edf è tornato a scendere a 7 miliardi di euro.

E LA MOBILITÀ MILITARE?

Ancora più strano il destino dei finanziamenti per la mobilità militare, cioè il programma “Connecting Europe facility”, pensato per migliorare le infrastrutture strategiche dei trasporti del Vecchio continente al fine di renderle più idonee agli aspetti di difesa. Si tratta del “meccanismo per collegare l’Europa” dal punto di vista militare, un campo su cui, tra l’altro, l’impegno dell’Ue interessa in modo particolare la Nato. Inizialmente, la Commissione proponeva 6,5 miliardi, ridotti a 2,5 dai negoziati finlandesi e addirittura a 1,5 dalla proposta del presidente Michel. Scomparsa nel “non paper” di febbraio della Commissione, è tornata nella versione recente. È uscita dal vertice di Bruxelles con 1,5 miliardi per sette anni.

LO STRANO CASO DELLA “EPF”

Stessa cosa si può dire della “European Peace facility”. Nel piano di Bruxelles del 2018 era prevista tra gli strumenti off-budget con 10,5 miliardi di euro. Scendono a 5 nelle conclusioni del Consiglio europeo, per uno strumento progettato per finanziare le missioni della Politica di sicurezza e difesa comune (Psdc) in Paesi esterni all’Unione. La facility “migliorerà il finanziamento di operazioni militari dell’Unione europea e il sostegno alle azioni intraprese dai nostri partner”, spiegava l’allora Alto rappresentante Federica Mogherini illustrando i piani della Commissione. Lo strumento è tutt’ora pensato per consentire all’Ue di impegnarsi in azioni di più ampia portata rispetto a quelle attuali, sostenendo le Forze armate degli Stati non membri con infrastrutture, materiali, forniture e assistenza tecnico-militare.

IL PROGRAMMA SPAZIALE

Anche per il programma spaziale si confermano i numeri della proposta di Michel di febbraio: un massimo di 13,2 miliardi, di cui 8 per Galileo ed Egnos (le infrastrutture satellitari per navigazione e puntamento, il cui obiettivo resta l’affrancamento dal sistema americano Gps) e 4,8 miliardi per il sistema europeo di osservazione della Terra, Copernicus. Trattandosi di programmi già ben avviati e sostanzialmente di comune interesse, la riduzione è stata minore rispetto a quella piombata sulla Difesa. La proposta del 2018 della Commissione aveva proposto per il programma spaziale ben 16 miliardi di euro, di cui circa 9,7 miliardi per Galileo e 5,8 per Copernicus.



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