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Autostrade, l’Iri e la falsa partenza di Conte. Parla La Malfa

Stato per Stato, allora meglio resuscitare il vecchio Iri, che di cose buone ne ha fatte. E comunque, l’accordo tra governo e Autostrade è una falsa partenza. Giorgio La Malfa, saggista e più volte ministro negli anni 80 e 90, non si fa problemi a fornire la sua personalissima lettura della svolta raggiunta nella notte sulla partita con la famiglia Benetton. Attenzione agli abbagli, il confronto non è chiuso. E poi, continuare a travestire Cassa Depositi e Prestiti (che farà il suo ingresso nel capitale di Autostrade, prendendone il controllo a valle di un aumento di capitale) da vecchio Iri è un errore.

La Malfa, stanotte una svolta nella partita Autostrade. Impressioni?

Che non è una svolta, perché la questione è solo rimandata ai prossimi mesi. E sa perché? Perché non sono stati discussi gli aspetti tecnici, per esempio non è stata valorizzata la quota dei Benetton nella società. Perché per fare un aumento di capitale dobbiamo capire quanto valgono le azioni dei Benetton. Dunque, al momento però non è chiaro di quanti soldi stiamo parlando per mettere Atlantia in minoranza. E poi, Autostrade rinuncerà davvero al ricorso contro la modifica al decreto Milleproroghe che, ricordiamo, riguarda una cifra che oscilla tra i 7 e i 23 miliardi? Sono domande da farsi.

Scusi, ma sta dicendo che quella di ieri è stata una specie di finta?

Sto dicendo che il premier Conte aveva solo una possibilità: far finta di decidere, dicendo che lo Stato entra, ma senza sapere e soprattutto dire agli italiani, quanto ci costa l’ingresso dello Stato. Perché non lo sanno nemmeno al governo e per questo quella di ieri mi pare una presa in giro. La verità è che ieri non si è deciso un bel niente, perché gli aspetti centrali e sostanziali, non sono stati affrontati. Si fa presto a dire che i Benetton se ne vanno, ma a che prezzo? E una volta fissato il prezzo, andrà bene ai vecchi soci o ci sarà battaglia anche lì? E in che modo lo Stato entra nel capitale?

A questa ultima domanda una risposta c’è: per mezzo di Cassa Depositi e Prestiti.

Errore. Guardi, io sono un fan del vecchio Iri, perché l’Iri ha fatto cose importanti in questo Paese a cominciare, tanto per rimanere in tema, proprio dalle autostrade. Il nostro Paese è stato il primo nel Dopoguerra a dotarsi di una rete autostradale, proprio per mezzo dell’Iri. Ecco, allora oggi, se c’è questa frenesia di far entrare lo Stato nelle aziende, non bisognerebbe usare Cdp, che dovrebbe fare ben altro e cioè gestire il risparmio postale. Ma si potrebbe riscoprire l’Iri, si badi bene, non la Gepi (la finanziaria di Stato nata nel 1971 con il compito di agevolare la ristrutturazione delle aziende in crisi, per poi uscirne, ndr).

Allora lo Stato può entrare ma non per mezzo di Cassa Depositi e Prestiti bensì dell’Iri?

Nel caso, sì. Ma solo dopo aver capito quanto ci costa, tornando al discorso di prima, che non sappiamo quanto ci costa l’intera operazione su Autostrade. Ho l’impressione che la confusione che oggi regna sovrana nel Movimento Cinque Stelle abbia generato un’operazione industriale confusa e poco chiara, almeno per ora.

La Malfa, ammettiamo per un attimo che lo Stato si riprenda davvero le autostrade. Meglio una rete pubblica o era meglio lasciarla ai privati?

Come ho detto prima le autostrade italiane oggi sono un capolavoro dell’Iri. Il quale si finanziò con obbligazioni messe sul mercato, dando vita a una fruttuosa collaborazione con il privato. Uno schema che sarebbe interessante anche riproporre oggi, anche se ci sono due condizioni affinché questo possa avvenire.

Quali?

Lo Stato dovrebbe dotarsi di due istituzioni, senza la Cassa Depositi e Prestiti. Una per la gestione delle risorse del Recovery Fund, l’altra per le operazioni di politica industriale. Questo servirebbe all’Italia, due strumenti pubblici per affrontare due questioni diverse: gestione delle risorse e opere pubbliche. Da una parte di vorrebbe una qualcosa di simile alla Cassa del Mezzogiorno, che stabilisca quali investimenti finanziare con i soldi dell’Europa, mica Conte può gestire 170 miliardi da solo. Dall’altra, secondo strumento, un ente per l’industria. Magari come il vecchio Iri.



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