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Saremo in grado di spendere i fondi del Recovery Fund? I dubbi di Balducci

Che il Recovery fund venga alla fine dei negoziati in corso realmente attivate non è affatto certo. Come non è certo che venga attivato nell’ammontare e con le modalità proposte dalla Commissione Ue. È stato da molti notato che si tratterebbe di una vera rivoluzione. Per la prima volta la Ue avrebbe un vero bilancio da gestire. E sì perché, al di là dei miti che si raccontano sull’Europa, di fatto Bruxelles non ha quasi risorse finanziare da distribuire.

Per dare un’idea basti pensare che il budget a disposizione di Bruxelles è di meno dell’1% del Pil della Ue mentre il solo budget italiano è di circa 47% del Pil italiano quello francese è del 57%, quello tedesco del 44%. Il budget italiano è da solo di molto superiore al budget dell’intera Ue. Il Recovery fund rappresenterebbe, se venisse effettivamente realizzato, una vera rivoluzione, un passo in vanti molto significativo nella realizzazione di una Ue intesa come superstato.

In generale, se andiamo a vedere i dati, l’Italia riesce a spendere solo poco più del 30% dei fondi Ue che le spetterebbero. Per il 2019 per l’Italia erano stati pianificati 75.130.734.582 di euro, di questi ne era stato deciso l’utilizzo per 54.629.466.045 di euro ma ne sono stati spesi solo 26.263.555.666 cioè circa il 35%.

Le resistenze dei Paesi così detti frugali (il termine tedesco Sparsamkheit vuol dire in effetti frugalità e non austerità) riguardano proprio questa nostra incapacità gestionale. Nessuno nega solidarietà all’Italia ma molti si chiedono se sapremo usare le eventuali risorse che ci venissero eventualmente date. Non dobbiamo farci illusioni, la nostra non è una incapacità di tipo settoriale, relativa esclusivamente all’utilizzo dei fondi europei, Sappiamo bene che non sappiamo nemmeno spendere i nostri soldi già stanziati per realizzare opere pubbliche necessarie, la realizzazione delle quali potrebbe contribuire alla riattivazione del ciclo economico.

Vale la pena rammentare rapidamente i motivi della farraginosità della nostra amministrazione. Possiamo riassumerli in due motivi di fondo e in due cause contingenti. I motivi di fondo sono la assenza di processi e una contabilità pubblica di tipo giuridico. I motivi contingenti sono rappresentati dall’ultima versione del codice degli appalti e dall’azione dell’Anac.

Il ruolo dell’Anac dovrà essere oggetto di un profondo ripensamento per inquadrarla adeguatamente nella nostra architettura costituzionale ed impedire che produca norme (le linee guida) dalla status giuridico ambiguo e che spesso si sovrappongono alle leggi e ai regolamenti amministrativi. Il ruolo dell’Anac andrà inoltre coordinato con quello dell’Ispettorato della Funzione Pubblica e con l’Ispettorato delle finanze. In via di prima emergenza andrebbero immediatamente sterilizzati i poteri sanzionatori dell’Anac e andrebbe chiaramente specificato con opportuna legge che le linee guida emanate dall’Anac hanno solo il valore di “suggerimenti operativi” assolutamente non vincolanti.

Per quanto riguarda gli appalti, il vero problema dei nostri appalti è rappresentato dalla mancanza di professionalità nella stesura dei “capitolati”. Qui non si tratta tanto di ridurre il numero delle stazioni appaltanti (cosa che creerebbe tanti colli di bottiglia quante sarebbero le poche stazioni appaltanti che si intende creare). Si tratta di imparare a fare i capitolati d’appalto. Un appalto serio si basa su capitolati molto dettagliati che non lascino spazio all’interpretazione e alla negoziazione.

Questa professionalità manca e non sarà nemmeno facile crearla perché nel nostro paese non abbiamo nemmeno professionisti che potrebbero insegnarla, trasferendo la loro competenza agli operatori. Qui si tratta innanzi tutto di creare un nucleo di “competenti” che dovrebbero poi trasferire le loro competenze agli operatori. Il suggerimento è di far appello ai partner del Consiglio d’Europa che hanno messo a punto meccanismi di questo tipo per trasferire in tempi rapidi varie competenze nei paesi dell’Europa Centrale e Orientale.

Un aiuto in una prima fase può essere fornito anche dai modelli di capitolato messi a punto dall’amministrazione francese. Di più lungo respiro sono gli interventi necessari per rimediare ai motivi di fondo della farraginosità che incrosta tutta la nostra azione amministrativa. In questo caso, l’esperienza dimostra che l’attivazione di gruppi di peer’s revew tra dirigenti italiani e dirigenti di altre amministrazioni che hanno degli standards di rendimento migliori e di dirigenti di amministrazioni che si sono sottoposti con successo al processo di revisione delle proprie modalità operative potrebbe essere molto utile (esempio di peers’ review realizzata dal Consiglio d’Europa).
In particolare per quanto riguarda l’introduzione di processi lavorativi nella nostra amministrazione va richiamata la strumentazione messa a punto dalle European Institute of Public Administration di Maastricht che all’inizio di questo secolo ha sviluppato tutta una metodologia sotto l’etichetta del Common Assessment Framework (Caf).

Questa metodologia ha bisogno di essere accompagnata, per poter essere messa in pratica, da alcune modifiche normative. In maniera particolare l’art. 17 del Dlgs 167 del 2001 (il testo unico sul pubblico impiego) che ha introdotto, inopinatamente, l’obbligo della firma del dirigente per ogni decisione amministrativa a valenza esterna e del comma 1 dell’art 5 della legge 241/90 che, altrettanto inopinatamente, separa la funzione del responsabile di procedimento (il funzionario istruttore che prepara l’atto) e il responsabile di provvedimento (il dirigente che lo firma).

Per quanto riguarda la riforma della nostra contabilità sarebbe molto utile potersi confrontare con chi negli ultimi decenni ha lavorato a serie riforme della contabilità pubblica. Penso al Belgio e alla Spagna che hanno introdotto una contabilità pubblica di tipo privatistico e alla Francia che ha introdotto una contabilità per missioni (simile quella prevista dalla nostra legge 42 del 2009) ma che ha sempre avuto una contabilità esclusivamente di cassa e non giuridica come è la nostra.
Quello del Recovery fund potrebbe, anzi dovrebbe diventare l’occasione per instaurare un rapporto di fiducia con i nostri partners europei. La maggior parte dei quali ha da insegnarci moto in materia di gestione delle strutture pubbliche (mentre noi abbiamo non poco da insegnare loro in materia di imprenditorialità).



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