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Così il turismo può rinascere (e recuperare i 10 miliardi persi). Report Cdp

Se ripresa sarà, lo si vedrà tra qualche mese, in autunno. Per quella data, salvo nuovi lockdown, l’Italia dovrà essere necessariamente attrezzata per la ripartenza. E il turismo sarà uno dei motori. Cassa Depositi e Prestiti, EY e Luiss Business School hanno cominciato a guardare a quei mesi, preparando una serie di report che vogliono fungere anche da laboratorio dal quale attingere idee riuniti nella collana L’economia italiana dalla crisi alla ricostruzione.

ALBERGHI IN GINOCCHIO

Oggi il turismo rappresenta il 13% del Pil italiano ed è il settore più colpito dalla crisi Covid-19. “Nello specifico”, spiega il Report frutto della collaborazione tra diversi economisti coordinati da Andrea Montanino, capo-economista di Cdp, “il comparto alberghiero è quello per il quale si stimano le peggiori performance. La piccola dimensione aziendale e i livelli di indebitamento già elevati fanno sì che le imprese ricettive siano particolarmente vulnerabili di fronte ai vincoli di liquidità ai quali si trovano esposte per l’improvviso blocco dell’attività”. Non stupisce dunque che circa 33mila strutture per oltre un milione di stanze, il numero più alto in Europa, oggi siano a rischio.

“Stimiamo che nel 2020 la crisi peserà sul fatturato delle imprese ricettive per circa il 50%, peraltro a condizione di riprendere le attività nella stagione estiva. La perdita di fatturato attesa potrebbe avvicinarsi a 10 miliardi di euro. Ci sarà da gestire una perdita di liquidità di 2-2,5 miliardi di euro e un patrimonio netto delle aziende del settore che si potrebbe ridurre anche di 3 miliardi di euro. Forte anche l’impatto sull’occupazione, in un settore con molti contratti stagionali. In ogni caso, le misure temporanee di aiuto non potranno far fronte a contrazioni di consumo prolungate”.

IL LOCKDOWN DEI TURISTI

Il problema vero è che con il blocco dei viaggi e dei flussi turistici, le imprese del settore hanno smesso di lavorare. “Nel nostro Paese”, spiega il report, “l’impatto della diffusione del Covid-19 sul turismo ha iniziato a farsi sentire già nella prima fase, in cui il virus era diffuso solo in Cina. Il primo stop si è infatti registrato in termini di blocco degli arrivi turistici cinesi, scoraggiati dall’epidemia ma anche bloccati dalla decisione italiana di chiudere i voli provenienti dalla Cina. Con il diffondersi dell’epidemia sul territorio nazionale, molti Paesi hanno bloccato i collegamenti aerei e il timore del contagio ha fatto impennare le richieste di cancellazioni di soggiorni già prenotati da parte dei turisti stranieri e italiani. Le successive azioni di contenimento imposte dal governo hanno quindi determinato la chiusura pressoché totale delle attività”.

E ADESSO?

Analizzato lo shock è però tempo di pensare al futuro. Ma c’è da fare i conti con l’impatto psicologico dei turisti. “La ripresa riguarderà prima i flussi di turismo interno e poi il turismo internazionale, gradualmente e in base alla velocità con cui gli altri Paesi usciranno dall’emergenza. Non è da sottovalutare, tuttavia, l’impatto psicologico della crisi: è probabile che anche i turisti italiani, spaventati dai rischi di contagio, possano rivedere in maniera rilevante le intenzioni di viaggio, in particolare nel breve periodo. Molto dipenderà dalla capacità del sistema italiano di garantire fiducia e sicurezza e diversificare ancora di più la sua offerta”.

UNA RICETTA

Dal documento però emerge una strategia per salvare un settore strategico per l’Italia. “L’hospitality potrà necessitare di interventi strutturali di rafforzamento, non solo di sostegno alla liquidità. Per recuperare un sentiero di sviluppo il settore richiederà un sistema articolato di misure di supporto. Le principali direttrici di un possibile intervento riguardano: nuovi modelli di fruizione del prodotto esistente e di sviluppo di prodotti innovativi e sostenibili, politiche di sostegno al rafforzamento patrimoniale facendo leva sugli asset immobiliari al fine di favorire processi di aggregazione e la creazione di campioni nazionali, con brand riconoscibili e maggiormente strutturati; la tutela dell’occupazione e promozione di up-skilling e re-skilling del personale e  azioni di recupero di fiducia nel sistema”.



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