Prima del Covid-19 il racconto di marca e il comportamento aziendale era orientato da certi temi e valori. Poi è arrivata la pandemia. Come si è trasformato durante la quarantena e come dovrà diventare domani in fase due e tre? Soprattutto per rilanciare una domanda che sembra impaurita e paralizzata cosa si dovrà raccontare?
COME ERAVAMO: IL POTERE DEL SUCCESSO
Persone che giravano il mondo ed esploravano la vita. Persone che si abbracciavano e si mostravano felici. Persone che ballavano nell’espressione sfrontata ed individualistica del sé. Ve le ricordate le pubblicità di questo tipo? Era solo qualche settimana fa…
Gli immaginari di marca ci “educavano” a:
– il viaggio di scoperta (discovery) dove i brand mandavano in giro per il mondo la loro “taste-hunter” a scoprire nuovi sapori;
– la felicità esibita (la happyness) dove le marche mostravano la gratificazione, il piacere, l’allegria in tutti i modi possibili tanto che si poteva “stappare la felicità”;
– il potere su di sé o sul mondo, bisognava mostrarsi forti, ribelli, intraprendenti, solo così ti affermavi ed esprimevi “coolness”. Qualche brand grida ancora: “Io ho il potere” facendo ballare le persone nei suoi spot.
Il famoso post della notte degli Oscar 2014 è stato il simbolo di molta di questa narrativa della realizzazione di sé.
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COSA ABBIAMO VISSUTO: LA FRAGILITÀ PRUDENTE
Poi è arrivato Covid-19 ed è più o meno cambiato tutto. Per due mesi – durante una quarantena sfiancante – abbiamo assistito a un ribaltamento totale nell’immaginario di marca.
– Dal “potere su di sé” siamo passati alla “gentilezza” e “attenzione” verso gli altri. Con la rappresentazione visiva del prendersi cura a tutti i livelli: preparare la pizza o rimboccare le coperte alla bimba;
– Dalla felicità come gratificazione siamo passati alla “prudenza” dello stare a distanza. Con immagini di tante persone all’interno di riquadri neri che però non mollano, cercano una via contenuta alla relazione;
– Dal viaggio di “scoperta” siamo arrivati alla “riflessione su di sé” e sulla vita. “Siamo a casa ma non stiamo con le mani in mano ripensiamo al nostro futuro” ci dice metaforicamente lo spot di una azienda che lavora nell’industria delle poltrone e dei divani.
Queste sono rappresentate magnificamente dallo spot “We’re never lost if we can find each other” realizzato da Facebook dove il vuoto, il dolore e la speranza sono assolutamente visivamente raccontate con grande maestria.
(Credits)
È stato l’inno alla “felicità delle piccole cose” come ci ha detto un altro spot in onda nella metà di maggio 2020 in Italia.
Sarà vero? Di certo c’è che abbiamo fatto un salto enorme: dalla sperimentazione sfrenata di noi stessi alla prudenza reciproca: cura, attenzione, ponderazione.
COME DIVENTEREMO: IL DESTINO SUPERSTITE
Come farà a ripartire la domanda in questo nuovo scenario di “ponderatezza”, dove chi consuma sta a distanza sociale, porta mascherine, è confuso e ha meno intenzione di spesa?
Di sicuro ci saranno molte variabili a concorrere ma una cosa è certa:
– la domanda ripartirà se le aziende e le marche saranno in grado di trovare nuovi modi per parlare agli individui e alle comunità di riferimento, che diventano comunità di un destino comune.
– Nuovi modi di raccontarsi e di rappresentarsi in un modo stravolto non solo dal corona virus ma dagli altri grandi stalli sociali in arrivo: la crisi economica, le disponibilità finanziarie, il disagio collettivo, persino se faremo o meno le vacanze questa estate…
Forse stiamo assistendo alla fine di un archetipo di marca in favore di un altro:
– dal re al sopravvissuto.
Cioè dal brand potente e regale che ti rende felice e ti fa viaggiare verso nuovi mondi, stiamo andando verso il brand compagno di vita che condivide con te un destino da superstite.
Un brand superstite che è grato, come dice Oscar di Montigny, e che nel suo raccontarsi diventa gentile.
Questa credo sia la grande metafora che dovremo tenere come stella polare: come si comporta un sopravvissuto-superstite?
Quali nuovi valori e priorità ha? Che esigenze manifesta e dove vuole andare? Di chi ha davvero bisogno?
Ecco, se sapremo rispondere a questo, ricordandoci che il brand superstite è un “testimone”, forse potremo far ripartire la domanda, se non nel portafogli, almeno nel cuore di chi consuma.