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Mes e Recovery Fund. Caro Conte i conti non tornano. Firmato Cazzola

Caro Giuseppe(i) ci fai o ci sei? Al Corriere della Sera il premier ha dichiarato, bello come il sole: “Il fondo salva Stati è un prestito. Se chiedo in banca 37 miliardi poi li devo restituire”. Poi, tutto in un fiato ha aggiunto: “Il Mes non è il mio obiettivo anche per una questione di consistenza, al di là delle condizionalità e delle sensibilità politiche interne. Non è una soluzione”.

Il presidente del Consiglio ha inventato l’acqua calda. Che si tratti di un prestito condizionato a finanziare le spese sanitarie dirette o indirette (è questa l’unica condizione) a ristoro dello tsunami del contagio, lo sanno ormai anche i sassi. La questione da affrontare e, se possibile, risolvere è un altra. Dove lo trova l’Italia un prestito di 37 miliardi ad un tasso dello 0,1%? Nei giorni scorsi il Tesoro ha raccolto 22,3 miliardi di Btp Italia 2025 (14 miliardi acquistati dai piccoli risparmiatori, 8 miliardi dagli investitori istituzionali) a scadenza quinquennale (la stessa del Mes sanitario): un’operazione, condotta a termine in un periodo da quattro giorni e salutata come la conferma di diffusa fiducia nelle prospettive del nostro Paese.

Ma a quali condizioni? Un tasso reale dell’1,40% lordo/annuo (a cui ogni sei mesi verrà aggiunta l’inflazione, se ci sarà) e da un premio fedeltà doppio rispetto al passato (pari all’8 per mille). Gli italiani, sottoscrivendo il titolo, sono stati attenti e solidali con il loro Paese sconvolto dagli effetti della pandemia. Ma – come dicono a Genova – avranno pur avuto la loro convenienza ad investire lì.

È allora legittimo chiedere al prof. Conte (anche se insegna diritto saprà certamente fare una banale operazione aritmetica) di quante volte 1,4 è multiplo di 0,1? Non siamo mica un Paese – come la Francia e la Germania – che riescono a far sottoscrivere i loro titoli anche con tassi negativi, per anche lo 0,1% può fare la differenza. Poi non ha nulla da spartire un prestito importante, con un tasso praticamente pari a zero, rigorosamente destinato al settore sanitario (ovviamente intascando queste risorse occorre spenderle nel settore a cui sono destinate: il fatto che non ci siano condizioni non autorizza nessuno a fare il furbo), con l’istituzione del Recovery Fund (500 miliardi di dote) che Conte definisce una svolta importante, di portata storica, sperticandosi in elogi alla Germania, perché sono inclusi contributi a fondo perduto.

La verità il premier se la è lasciata scappare in sole tre parole dell’intervista dalla quale è partito il nostro discorso: “sensibilità politiche interne”’. Che cosa significa? Ci sono forze politiche che temono di contrarre una sorta di “raffreddore da fieno” (come dicevano i nostri nonni) rivolgendosi al fondo salva-Stati? Ormai ci siamo abituati ad usare la mascherina e a lavorare da remoto. Non ci dovrebbero essere problemi. A sentire Vito Crimi, invece, sembra che i pentastellati preferiscano andare sui mercati finanziari e pagare tassi di interessi più elevati per finanziare un settore che è stato messo a dura prova e che è ancora in prima linea nel contrastare il virus malefico.

Conte addirittura ne fa anche una questione di consistenza dimenticando parecchi argomenti che ci spronano – come ha detto Romano Prodi – “a non fare sciocchezze” e ad intascare al più presto possibile quei 37 miliardi che, a fare dei confronti, corrispondono a una manovra finanziaria, a più di un terzo del finanziamento annuo del FSN.

Ma non basta. Il governo sta per tagliare l’Irap, almeno per alcuni anni. Questa è un’imposta regionale che concorre (per una quota tra il 40 e il 50% del totale, a seconda delle regioni) a finanziare la sanità. Se una parte della copertura proviene da un fondo che chiede interessi più bassi di quelli del mercato, piuttosto che dai bilanci delle aziende dove sta il problema? Forse Crimi da piccolo aveva paura del buio?


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