Le prospettive del mercato del petrolio per il futuro prossimo non sono rosee e una serie di fattori implicheranno l’avvio di nuove strategie da parte delle big oil companies, tra cui anche l’Eni, che in queste ore è chiamata al rinnovo dei propri vertici. Una lotta alla sopravvivenza dalle conseguenze nefaste dell’emergenza Covid-19 e della guerra petrolifera tra Russia e Arabia Saudita che per Palazzo Mattei significherà anzitutto guardare agli scenari e le incognite dei prossimi mesi. Primo tra tutti la grande incognita legata alla domanda di greggio.
Nell’Oil Market Report di aprile appena diffuso, l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) prevede che la domanda mondiale di petrolio subirà il calo record di 9,3 milioni di barili al giorno nel 2020 rispetto al 2019. Secondo l’Agenzia: “L’impatto delle misure di contenimento contro il Covid-19 in 187 paesi e territori ha ridotto ai minimi termini la mobilità. Si stima che la domanda di aprile sia inferiore di 29 milioni di barili al giorno rispetto a un anno fa, un livello visto l’ultima volta nel 1995”.
Per il secondo trimestre 2020, la domanda dovrebbe essere di 23,1 milioni di barili giorno inferiore ai livelli dell’anno precedente. La ripresa nella seconda parte dell’anno sarà graduale, a dicembre la domanda continuerà a scendere di 2,7 milioni di barili giorno su base annua. Sul versante dell’offerta, l’Accordo Opec Plus (Opec e Russia) dei giorni scorsi, avvenuto anche con il placet del presidente americano Donald Trump, ha dato una boccata di ossigeno, visto che si dovrebbe registrare a maggio un calo della produzione di 12 milioni di barili al giorno, un livello che potrebbe riportare il prezzo medio del greggio sopra i 40 dollari al barile.
Il Cane a sei zampe deve poi affrontare un’altra importante sfida industriale, quella legata all’operatività delle raffinerie. Sempre secondo le stime dell’Aie, le vendite delle raffinerie crolleranno di 16 milioni di barili al giorno su base annua nel secondo trimestre del 2020, con tagli e arresti diffusi in tutte le regioni.
Bisognerà, dunque, vedere come un crollo prolungato delle vendite in questo settore avrà degli effetti sulla proiezione industriale e soprattutto occupazionale, di Eni. Più in generale, come ha sottolineato anche l’Economist, tutte le compagnie petrolifere internazionali, le National oil company (Noc) e i paesi che si affidano alle rendite petrolifere devono prepararsi a un lungo periodo di difficoltà e approfittare della crisi per iniziare una ristrutturazione futura inevitabile, se il pianeta dovrà combattere i cambiamenti climatici.
Al di là degli aspetti di mercato – qualche anno fa le compagnie hanno resistito anche con il prezzo del greggio a 10 dollari al barile – come è sempre stato, le prospettive di Eni dipenderanno dai fattori geopolitici, a partire dal mantenimento dell’equilibrio di potere garantito dall’Opec. Il cartello dei principali paesi produttori di greggio è sempre più in affanno e rischia di sgretolarsi a causa delle pressioni interne, vedi il ruolo sempre più da solista assunto dall’Arabia Saudita, e delle pressioni esterne, vedi Washington e Mosca le cui rispettive industrie estrattive vogliono mettere fine alla stagione del cartello di Vienna.
Siamo alla luce di un nuovo ordine? Difficile dirlo, ma come ha scritto lo studioso Chris Cook, dell’University College of London, in assenza di un rialzo dei prezzi, nei prossimi mesi continuerà a farsi strada l’idea di passare dall’Opec al Nopec. Ovvero, la ricerca di un consenso internazionale volto alla creazione di un organismo multilaterale per la gestione del mercato del greggio, non più basato su uno schema di cooperazione e competizione a fasi alterne, ma bensì su un quadro di protocolli tecnici molto specifici, simili a quelli applicati nell’Organizzazione mondiale per il commercio.
C’è poi la partita nel Mediterraneo. Sul versante occidentale, la Libia è tornata ad essere una polveriera e, come comunicato sui social media dalla stessa compagnia petrolifera libera (Noc), a partire dallo scorso gennaio 2020, ha superato i quattro miliardi di dollari la perdita economica stimata per il paese in seguito alle chiusure degli oleodotti e dei terminal imposte dal generale Haftar nella sua campagna per la conquista di Tripoli.
Sul versante orientale, dove è presente il super giacimento scoperto dalla stessa Eni di Zohr, la Turchia continua ad avanzare le sue pretese economiche nelle zone economiche esclusive a largo di Cipro, attraverso attività di esplorazione e ricerca molto vicine a quelle che sta portando avanti Eni insieme alla francese Total. Tutte sfide che si sommano ovviamente agli effetti della pandemia sui mercati energetici, in primis quello asiatico: capire quando se e quando ripartirà la locomotiva cinese sarà cruciale per posizionarsi efficacemente sulla ripresa della domanda di greggio.