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Allarme di Confindustria sulla crisi di liquidità (e non solo). Lo spiega Manzocchi

C’è la salute della popolazione, da difendere a tutti i costi. Poi ci sono i posti di lavoro, la ricchezza, il futuro: in una parola, le imprese. L’Italia è un’economia industriale e manifatturiera, un mese di lockdown ha già prodotto danni di portata storica. Il governo, fa capire Stefano Manzocchi, economista e direttore del Centro studi di Confindustria, dovrebbe lavorare su un doppio binario. Da una parte i contagi, dall’altra la salvaguardia del tessuto economico, con azioni straordinarie per un momento straordinario. Quando il Paese uscirà dal tunnel, prima o poi, dovrà essere già nelle condizioni di ripartire il più velocemente possibile.

Manzocchi partiamo da un’operazione annunciata ieri da Cassa depositi e prestiti. Due miliardi di euro di liquidità alle imprese…

Quello di Cdp è sicuramente un intervento benvenuto, che va nella direzione delle misure di cui c’è grande bisogno oggi, in questa fase così difficile. In questo momento, infatti, è urgente evitare che il blocco dell’offerta ed il crollo della domanda provochino una drammatica crisi di liquidità nelle imprese, piccole, medie, grandi.

Si rischia una crisi di cassa per le aziende italiane?

Sì, perché a fronte delle spese indifferibili (tra cui quelle per gli adempimenti retributivi, fiscali e contributivi) e degli oneri di indebitamento, le mancate entrate prodotte dalla compressione dei fatturati potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza di intere filiere produttive. Bisogna evitare che la crisi di liquidità diventi un problema di solvibilità, anche per imprese che prima dell’epidemia avevano bilanci e prospettive solide.

C’è un’altra arma di cui si è parlato in questi giorni: la garanzia pubblica sui prestiti concessi, anche dalle banche private. Crede che tale misura debba essere rafforzata o estesa?

Confindustria ha definito una serie di proposte concrete per garantire la tenuta del sistema economico italiano in questa fase emergenziale. Solo se si mantiene in efficienza la macchina dell’economia, per quanto al momento quasi ferma, sarà possibile rimetterla in moto subito, al termine dell’emergenza sanitaria. Queste azioni devono comprendere interventi urgenti per il sostegno finanziario di tutte le imprese, in particolare rafforzando molto il ruolo del Fondo di Garanzia per sostenere il flusso di nuovo credito bancario alle imprese.

La misura è già stata prevista nel decreto Cura Italia.

Sì. Ma la dimensione degli interventi resta insufficiente e la diga va rapidamente rafforzata. È stata anticipata da parte del governo l’intenzione di varare un ulteriore intervento in aprile, di portata analoga a quello di marzo, che deve essere l’occasione per rafforzare ulteriormente lo strumento della garanzia pubblica sui prestiti.

Manzocchi, l’ultimo rapporto del Centro studi di Confindustria parla chiaro: il coronavirus polverizzerà fino al 6% del Pil quest’anno. Non crede sia, con tutte le cautele del caso, il momento di dare un’orizzonte certo sulla riapertura delle imprese?

La previsione del Csc di un -6% del Pil nel 2020 è stata ottenuta sotto l’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini a maggio e che questo consenta una lenta normalizzazione dell’attività economica da fine aprile a fine giugno. Del realismo o dell’ottimismo di queste ipotesi solo i prossimi mesi lo diranno. Dipenderà dall’andamento dell’epidemia.

E se la situazione non migliorasse in modo consistente o strutturale?

Nel caso in cui la situazione sanitaria non evolvesse positivamente, in una direzione compatibile con questo scenario per l’offerta, le previsioni economiche del Csc andrebbero riviste al ribasso. La crisi infatti ha due fronti, strettamente collegati: quello del virus e quello della recessione economica. Certamente, appena sarà possibile dal punto di vista sanitario, bisognerà procedere alla riapertura dell’attività economica. Ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive, secondo i parametri attuali, potrebbe costare una perdita ulteriore di Pil dell’ordine di almeno lo 0,75%.

In molti hanno paragonato questo momento al Dopoguerra. Non ci sono i palazzi sventrati ma gli effetti economici sono simili. Ci sarà una nuova rinascita del Paese, come 70 anni fa?

L’azione di politica economica deve essere diretta in questa prima fase a preservare il tessuto produttivo del Paese, impedendo che la recessione profonda di questi mesi distrugga parte del potenziale e si traduca in una depressione prolungata. Solo la tutela delle imprese, e quindi dell’occupazione, in questa fase delicata, consentirà al Paese di tornare a crescere in futuro.

Qualche consiglio al governo?

Occorrerà mobilitare risorse rilevanti per un piano di ripresa economica e sociale. Servono interventi di politica economica di carattere straordinario, su scala sia nazionale sia europea, per sostenere la ripartenza dell’attività economica, già nella seconda parte del 2020 e nel corso del 2021. Finanziando con risorse europee e nazionali gli ingenti interventi necessari, per liquidità delle imprese e investimenti pubblici e privati aggiuntivi in sanità e tecnologia, è possibile far ripartire il Paese lungo un sentiero sostenibile di medio termine.



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