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Perché dobbiamo riaprire le fabbriche. Il commento del prof. Pirro

La pressione della Confindustria, di altre associazioni di pmi – e di tante aziende che non sono iscritte ad alcuna organizzazione e che si esprimono attraverso i social – per la riapertura delle fabbriche oggi ferme sta diventando ogni giorno sempre più insistente per ovvie e fin troppo intuibili ragioni. Prolungate chiusure rischiano infatti di scardinare intere filiere merceologiche, di far perdere commesse già acquisite o ancora acquisibili sui grandi mercati internazionali e di far uscire tante industrie dagli scenari competitivi forse per sempre.

Come non ritenere fondato tale allarme ? Si perderebbero centinaia di migliaia di posti di lavoro, verrebbero distrutti interi cluster manifatturieri e l’Italia perderebbe probabilmente per un lungo periodo il ruolo di secondo Paese manifatturiero d’Europa, ammesso (ma non concesso) che conservi ancora questa posizione alla luce degli ultimi dati di Eurostat nella graduatoria del valore aggiunto industriale complessivo e del suo tasso di crescita medio annuo fra i Paesi della Ue.

Allora, è bene che si intensifichino gli sforzi di analisi e di proposta da parte del Comitato tecnico scientifico per aiutare il governo ad assumere decisioni non più rinviabili dopo Pasqua, sia pure con tutti gli scaglionamenti valutabili eventualmente per Regioni, o per distretti, o per settori e filiere integrati a livello nazionale e internazionale.

Ed è bene, a nostro sommesso avviso, che gli autorevoli componenti del Comitato tecnico scientifico sviluppino analisi epidemiologiche sempre più accurate e avanzino proposte realmente praticabili, senza lasciarsi tentare (neppure per un attimo) dal suggerire estremismi prescrittivi che, per quanto poi debbano essere doverosamente mediati dal governo con considerazioni più ampie riguardanti gli interessi generali del Paese, potrebbero – anche al di là delle reali intenzioni del Comitato tecnico scientifico – influenzare alcune componenti dell’attuale governo che (forse) non hanno acquisito sino in fondo una vera cultura economica, propria di una grande economia industriale come la nostra, e sono invece ancora suggestionate dalla visione della decrescita felice.

Allora bisogna avviare un confronto serrato con (tutte) le organizzazioni sindacali – e non solo con quelle confederali – ma anche con Federdirigenti, Federquadri ed ogni altra associazione di rappresentanza del mondo del lavoro dipendente. Ma non bisogna discutere solo con i massimi dirigenti dei sindacati, ma anche con quelli di categoria a livello nazionale e sui territori e con le Rsu almeno delle fabbriche maggiori, mettendo anche in conto che tanti lavoratori iscritti ai sindacati – ma anche tanti altri che iscritti non sono – decidano poi motu proprio di andare a lavorare negli stabilimenti ancora chiusi, ma i cui titolari già oggi sono in condizioni di garantire (senza se e senza ma) condizioni di sicurezza pari a quelle in vigore nelle industrie che invece devono restare in produzione. Al riguardo verrebbe da chiedersi: ma i lavoratori e le lavoratrici che oggi sono impegnati nelle aziende che assicurano, beni alimentari, farmaci, dispositivi medici e altri servizi indispensabili alla nostra vita quotidiana sono forse figli di un dio minore in quanto obbligati a restare in produzione?

I sindacalisti vogliono garanzie assolute per ridurre o azzerare i rischi? Giustissimo e devono essere assicurate le migliori condizioni di lavoro con tutti i dispositivi di sicurezza, magari avvalendosi dei controlli – ove fosse necessario – di ispettori di Inail, Spesal e Noe per quanto di rispettiva competenza. E, compatibilmente con le risorse finanziarie delle singole aziende che tornassero a produrre, si potrebbero stipulare assicurazioni contro i rischi da covid 19 in favore di addetti alla produzione, e corrispondere loro anche aumenti salariali, come peraltro hanno fatto aziende come Ferrero, Rana e altre che, però, a differenza della maggior parte delle imprese, stanno producendo a pieno regime con ricavi e margini ben maggiori rispetto al primo trimestre del 2019.

Ma bisogna tornare a produrre quanto prima. Ci stiamo giocando in queste settimane decenni passati e futuri della nostra economia. Ne siamo tutti pienamente consapevoli?


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