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Covid-19 e la questione del debito pubblico italiano. L’analisi di Valori

Come si verranno a definire, nel prossimo futuro, le risorse dell’Unione Europea, per la questione del coronavirus? La questione è infatti ben più complessa di quanto non si creda.

I Fondi Europei veri e propri che sono in teoria disponibili sono tanti: c’è il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, il Fondo Sociale Europeo, il Fondo di Coesione e, infine, il Fondo Europeo Affari Marittimi e la Pesca. Tutti attivati dalla presidenza von der Leyen nella fase di inizio della europeizzazione del virus.

Le risorse individuate dalla von der Leyen per il sostegno contro il coronavirus e i suoi effetti economici sono tratte, tutte, su queste poste di bilancio, che sono anche quelle che vengono trasferite agli Stati, di solito, come prefinanziamenti, ovvero come anticipi sulle spese operative.

La parte non ancora spesa di questi anticipi potrà presto essere ri-denominata senza particolari pastoie burocratiche, e questi fondi potranno coprire almeno alcune spese pregresse, dal primo febbraio 2020, per l’esattezza.

Le proposte della von der Leyen intervengono anche sul Regolamento generale del Fondi Europei, il che permetterà di utilizzare anche il Fondo per lo Sviluppo Regionale per finanziare il capitale e gli investimenti, in particolare per migliorare l’efficacia dei servizi sanitari regionali.

I contributi di questi Fondi saranno conferiti, in linea di massima, solo per coprire le perdite causate da crisi sanitarie, eventi climatici, incidenti ambientali o incidenti in mare, ma che riguardino almeno il 30% del fatturato dell’impresa colpita, calcolato sulla media degli ultimi tre anni pregressi.

Per le malattie gravi ed epidemiche, si prevede, in questo nuovo sistema Ue, che esso possa attivarsi se si dimostrano, (hai voglia!), danni maggiori di tre miliardi oppure dello 0,36% del solito Pil.

In tutto, dovrebbero essere resi così disponibili, per tutte le economie europee colpite, solo 8 miliardi di euro, più altri 29 miliardi come effetti a cascata degli investimenti già in fase di attuazione.

Troppo poco, come è evidente a tutti.

Il bilancio Ue 2021-2027 non è stato però ancora approvato, quindi le risorse sono già scarse e, a dire il vero del tutto insufficienti per tutti i Paesi Ue, che però trasferiranno alle sole regioni italiane circa 850 milioni di euro per l’epidemia virale, avendo a garanzia, nemmeno tanto formale, l’”aumento della managerialità” nella gestione della salute, che è peraltro già elevato, in Italia, e nel rapporto tra centri di spesa e autorità politica.

Comunque, siamo sempre al too little too late, troppo poco troppo tardi, nella UE, sia per la spesa sanitaria italiana, che per quella, che non sarà certo minore, degli altri Paesi colpiti dal virus, come la Spagna, la Francia e, tra poco e molto, la Germania.

Ma, nel caso di Berlino, la cosmetica del bilancio pubblico, che mi meraviglio non sia ben nota ai mercati finanziari internazionali, farà in modo di trasformare un brocco, la finanza pubblica tedesca, oberata da debiti colossali, in un velocissimo Varenne.

Non sarà con questi pochi soldi e con questi burocratici criteri, tutti peraltro post factum, che la Ue ricostruirà la sua immagine nell’Europa distrutta, nelle forze produttive e nei sistemi industriali, dall’emergenza virale.

Intanto, il governo Conte ha già finanziato, con 25 miliardi di Euro, al massimo e a debito, tutto il pacchetto di interventi per fronteggiare la pandemia da Covid-19.

I titoli di Stato che si possono emettere valgono, come data di inizio, nel solo 2020, ma ci sarà un “aiuto” specifico per Air Italy, la linea sarda in fase di chiusura, ma il Fondo di Solidarietà del Trasporto Aereo e del sistema aeroportuale avrà comunque 200 milioni a disposizione in più.

Tutto insieme si trova, nel decreto, in modo che si ha la sensazione che poi, alla fine, per ricominciare, in tutto il Nord produttivo, dopo il coronavirus, ci saranno meno soldi di quanti servano appena per ricostruire il sistema industriale delle Piccole e Medie imprese, che hanno, come è noto a tutti gli studiosi, tempi di permanenza sui mercati ben più ristretti delle grandi aziende.

Sempre nei 25 miliardi, che cominciano a diventare visibilmente una coperta stretta, ci sono anche i fondi per l’editoria, dato il calo inevitabile degli introiti pubblicitari, ci sarà anche uno scudo antispread per le assicurazioni e la tensione sui titoli del nostro debito pubblico. La cosa è molto tecnica, ma non ci interessa qui.

Ma se gli investitori lo sanno, come sempre accade, scontano sulla quantità acquisita o il prezzo del titolo il valore dell’assicurazione, come è sempre accaduto dalla notte dei tempi a oggi.

Come si possa poi, oggi, prendere sul serio una misura come lo spread, che misura una differenza tra il Bund decennale di una nazione ammalata e bloccata, la Germania, con il nostro BTP decennale, sempre comunque di un Paese ammalato e bloccato, è un mistero doloroso. Ma, e non da oggi, ho sempre più scarsa fiducia nell’intelligenza media dei finanzieri privati.

Il governo Conte è comunque pronto a recepire le modifiche della Eu al volatility adjustment, che ha, da sempre, un andamento molto discontinuo e una efficacia, ancora da sempre, molto limitata.

Le imprese che detengono titoli del debito pubblico dovrebbero in questo modo mettersi in condizione, acquistando i tools di stima dei parametri di spread, per valutare il funzionamento della massa titoli e per calibrare il mix di investimenti in “carta” e poi anche la duration di tutti i titoli che possiedono. Ma non è detto…

Per quel che riguarda il sostegno alle imprese, nei 25 miliardi di extra-spesa pubblica sarà possibile richiedere il trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario, ma solo per un periodo di nove settimane.

Anche qui, non c’è parola sulle operazioni di recupero delle quote di mercato delle imprese, di recupero inoltre degli utili già previsti, e il tutto per soli nove mesi che, anche se la pandemia finisse stasera, non sarebbero probabilmente sufficienti per recuperare il posto delle nostre tante Pmi colpite dal virus nell’insieme del mercato Ue e internazionale, che intanto gli altri si saranno già preso.

L’idea che esiste l’intelligence economica, non ha ancora afferrato le menti dei nostri politici.

Per la Sanità, nei 25 miliardi, sempre meno disponibili, come si vede, ci sono anche e solo 150 milioni per l’incremento degli straordinari del personale medico e paramedico.

Il potenziale del personale specializzato medico militare sarà aumentato, nel documento emesso, di 320 medici e infermieri; ma altri soldi saranno posti negli uffici di controllo periferici, per i controlli su merci e persone.

Poi, per utilizzare i posti letto in terapia intensiva anche del settore sanitario privato, sono disponibili 340 milioni di euro in tutto. E i finanziamenti diretti alla sanità privata, non c’erano già?

Si ricordi, inoltre, che non è stato ancora riunito il Consiglio Supremo di Difesa, il che sarebbe il minimo, in queste condizioni.

Anche qui, troppo poco e troppo tardi. Non ci sono dati certi, infatti, sulla permanenza del virus e sulla sua distribuzione su tutto il territorio nazionale.

Per le Pmi, comunque, il Fondo Centrale di Garanzia avrà a disposizione un solo miliardo di euro. Ancora, troppo poco.

Se si sovrappongono poi le cartine delle zone di infezione, dalla provincia di Lodi al Veneto, si ha anche, in controluce, il disegno dell’area di sviluppo, nel Nord, delle nostre Piccole e Medie Imprese.

Che vanno sui mercati internazionali “con le mani nude”, per usare la tradizionale traduzione, dal giapponese, di Karate. Il coronavirus ha detto comunque fine, comunque vada, al nostro particolare sistema di sviluppo e organizzazione industriale, e proprio nelle zone più produttivamente vivaci.

C’è un possibile futuro, ora, per il Nord, o da area “garantita” o da zona del tutto dipendente dai cicli economici altrui. È questa la vera partita in gioco. Soprattutto per la Germania, che pensa strategicamente alla propria economia dentro l’Ue.

 La garanzia sarà comunque portata fino a 5 milioni di euro per azienda, e poi si anche facilità l’accesso, per chi rimane in difficoltà, al “Fondo Gasparini”, per la sospensione delle rate dei mutui, Fondo che è stato potenziato con ben 500 milioni, per tutto il 2020.

A questo fondo potranno accedere, per i soliti nove mesi successivi all’uscita della norma, anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, autocertificando, e sarà facilissimo, un calo del fatturato superiore ai 1/3, che però sia connesso (come?) all’emergenza coronavirus.

Per le banche, ma anche per gli altri creditori delle imprese, si prospetta la trasformazione dei debiti in crediti d’imposta, per un ammontare di 2 miliardi massimi.

E siamo già oltre, ben oltre, i 25 miliardi a debito computati all’inizio, conoscendo bene le condizioni debitorie di tante, spesso anche ottime, Pmi del Nord e del Centro.

Per i ristoranti, i bar, le palestre, lo spettacolo e la cultura, oltre ai servizi di trasporto, si prevede l’esenzione alla fonte dei versamenti delle ritenute alla fonte sui redditi, ma occorrerebbe comunque un vero sostegno ai redditi, piuttosto che le solite esenzioni fiscali sui redditi che non ci sono più.

Ancora, e siamo quasi alla fine, c’è un sostegno al reddito, per i soli liberi professionisti, di 500 euro al mese, per chi ha partita Iva attiva e, per il made in Italy, la chiave, da sempre, della penetrazione economica all’estero delle nostre Pmi, senza cifre esplicite ma che sarà, in futuro, gestito dall’Ice, Istituto per il Commercio Estero. Senza dati certi, questo Fondo. E la Sace per chi è già attivo oltremare? In questo caso, tutto è molto, troppo vago.

I segnali dello sgambetto Ue ci sono già tutti, comunque.

La gaffe, che tale non era, della Lagarde, oggi governatore della Bce, ha già distrutto, in un giorno, la Borsa italiana, che peraltro è di proprietà della Borsa londinese, ma l’asse bancario franco-tedesco specula da anni sulla differenza tra i tassi d’interesse pagati da Berlino e da Parigi e quelli di Roma e Milano.

È questa una vera e propria industria, quindi la pretesa gaffe della Lagarde si comprende facilmente.

Ovvio che tutto ciò preluda, anche, a una svendita delle imprese e dell’immobiliare italiano, mentre si fa sempre più probabile il passaggio delle agenzie di rating tra l’attuale valutazione dei nostri titoli del debito pubblico e l’area junk, che si intravede con la spesa, peraltro insufficiente, dei 25 miliardi di titoli nostri a debito per far fronte, e poco e male, al coronavirus.

Nessuno, nella Ue, lo abbiamo già visto prima descrivendo il piano della von del Leyen, è ancora fuori dal vecchio “paradigma della austerità”, che funziona male anche quando le cose vanno bene, e non facciamoci illusioni future su quello che gli epistemologi popperiani chiamavano “cambio di paradigma”.

Quindi: fermo industriale di fatto a causa del coronavirus, successiva e comune azione speculativa dei Paesi Eu sulle aziende del made in Italy, operazioni al ribasso contro tutte le aziende Pmi quotate, e si ricordi qui anche la sentenza del 2019 della Corte di Strasburgo sui comuni in dissesto, in cui si accolla direttamente l’intero importo più interessi del debito locale allo Stato centrale.

È, già questa, una colossale mazzata. Sono infatti 66 i grandi comuni in dissesto, oggi, con 54 piccole amministrazioni in Calabria, e ancora con 409 medi e piccoli comuni in crisi, a vario titolo, in Sicilia poi 111 comuni, il tutto per cifre difficilmente valutabili oggi ma, comunque, molto vicine ai famosi 25 miliardi dei titoli emessi per il coronavirus.

È, questa, una evidente manovra di aggiramento della nostra crisi fiscale ed economica, che sarà usata al momento giusto dai nostri concorrenti Ue e non-Ue.

Se, poi, come dicono molti attuali dirigenti dei partiti al governo, ci sarà l’accesso dell’Italia al European Stability Mechanism, allora per i patrimoni pubblici e anche per quelli privati sarà proprio una Corte Europea a giudicare se i patrimoni privati debbano giocare il loro ruolo, oltre a quelli pubblici, nella procedura di default.

E ricordiamoci inoltre che il 91% dei nostri comuni è a pericolo di frane e sbriciolamento del suolo.

Per tutti i beni e le aziende pubbliche verrebbe così richiamata la classica procedura di fallimento, alla quale potrebbero essere richiamati e aggiunti anche i cespiti privati. Come hanno fatto con la Grecia, appunto.

E come fecero a Versailles alla fine del primo conflitto mondiale con la Germania, preparando la via dorata al nazismo e alla Seconda guerra mondiale e, soprattutto, europea.

Soluzioni temporanee? Una doppia circolazione della vecchia lira, che dovrebbe essere resa intercambiabile con l’euro, cosa che Monti proibì infatti nel 2012, e che i tedeschi non si sono mai sognati di abrogare, oppure la circolazione di titoli a termine, come fece il geniale Hjalmar Schacht, ebreo, massone e banchiere di Hitler, che si inventò le cambiali Mefo per uscire dagli ultimi colpi di coda della super-inflazione weimariana.

Per il nostro debito pubblico, la Banca d’Italia parla di un aumento del debito, appunto, con un +9,8 miliardi di nuove disponibilità liquide del Tesoro, il che le fa arrivare a 55 mld., con un debito ulteriore delle amministrazioni centrali che è aumentato di 7,2 miliardi e quello delle amministrazioni locali, di cui abbiamo già visto la pessima situazione finanziaria, di 0,5 miliardi, sempre nel 2020.

Per la lunga teoria degli eurobond, invocati da molti economisti più o meno domenicali, la domanda-chiave rimane.

E se, infatti, nel prosieguo della crisi da virus, gli investitori, abilmente manipolati, e si può ben immaginare da chi, si rivolgessero ad altri titoli? I Btp, per esempio?

Il nostro debito pubblico è detenuto, oggi, dall’80% di mercato/operatori privati, dal 33% di istituzioni europee e banche centrali, dal 20% di “altri”, risparmiatori piccoli e medi o altre organizzazioni.

Secondo la Commissione Europea, il debito pubblico italiano, con una crescita economica pari a zero, potrebbe arrivare, alla fine di quest’anno, ceteris paribus, alla cifra di ben 2435,7 mld. su un totale del debito Eu a 27 di 12814 mld.

Se l’economia italiana riparte a fine maggio, come nelle previsioni del Cerved, le nostre imprese potrebbero recuperare un livello di fatturato perfino superiore dell’1,5% a quello registrato all’inizio della crisi da virus.

In sostanza, il coronavirus dovrebbe costare alle imprese, tra il 2020 e il 2021, 275 miliardi.

Troppo, certamente, ma niente che non possa essere spalmato, da un debito pubblico attentamente gestito nelle sue componenti principali, se e solo se questi dati verranno diffusi tra gli investitori internazionali, noi allora potremo ampliare definitivamente la platea degli acquirenti die nostri titoli del debito pubblico, attentamente calibrati e anche rinnovati, per aprirsi agli usi di piazza di mercati finanziari nei quali ci siamo avventurati poco negli ultimi anni: la Gran Bretagna, che certo ha un interesse politico, strategico, finanziario a contrastare le politiche della Ue, ora che ne è fuori, gli Stati Uniti, piazza sulla quale abbiamo avuto una presenza di nostre grandi aziende ma molto meno di Pmi quotate e di altre società, peraltro di ottima immagine e sostanza, poi ovviamente la Cina, ma anche e perfino l’India, per non parlare dell’Australia e della Nuova Zelanda che, con il viatico della Borsa di Londra, che ben conosce quella di Milano, potrebbe comprare bene e con fiducia i nostri titoli.

Basta, quindi, col chiedere la carità ai mercati finanziari Ue, che non hanno dimostrato alcun interesse alla nostra situazione interna e economica, iniziamo allora a fare propaganda di alto livello, promozione qualificata, “immagine” senza mentalità turistica, ma con ottima expertise finanziaria.

C’è chi poi, con sprezzo del pericolo e dell’esperienza, propone di trasformare il Mes europeo nel “ministero dell’Economia” della Ue, che potrebbe emettere i famosi eurobond o altri titoli che, si spera, “vadano a ruba” sui mercati.

Qualcuno lo sa che, oggi, i Paesi si fanno concorrenza, con tutti i mezzi, sui titoli del loro debito pubblico?

Da questa operazione, a debito comunitario di tutta l’Ue a 27, si potrebbe innalzare tutto il bilancio dell’Europa comunitaria, in modo da poter aiutare i Paesi meno “fortunati”.

L’idea è buona, in linea di massima, ma non dà per scontato ciò che invece appare ormai ovvio: il progetto Ue di far fare all’Italia la sorte di una sorta di Grecia in slow motion, come le riprese dei gol o dell’atletica leggera.

Peraltro, il famoso budget per il Green Compact di mille miliardi, pari a sette anni di budget intero dell’Unione, non si vede ancora, era infatti una idea pubblicitaria, ma non si riesce nemmeno a immaginare da dove si possa prendere questa cifra da palazzo di Paperon de’ Paperoni.

Secondo altre fonti, affidabili e bancarie, la situazione delle Pmi italiane in fase coronavirus avrà un impatto sul capitale circolante, sempre delle nostre Piccole e Medie Imprese, di oltre 18 miliardi di euro, su un totale già calcolato di 342 crediti e debiti commerciali.

Ma, per tutto e solo il 2020, il fabbisogno, inclusi i rimborsi del debito in scadenza e gli investimenti, per le Pmi potrebbe arrivare a 46 miliardi.

Il 50% di questa cifra riguarda le imprese lombarde, venete, emiliane.

Creare debito per ripartire non serve alla lunga, se non come una prima banda di garza sulla ferita, serve un filo diretto di finanziamento a tasso zero dalla Banca d’Italia ma, e qui la vedo dura, anche dalla Bce, un sistema istituzionale dove i tecnici studiano vecchia microeconomia e credono che sia quella tutta la teoria economica.

Per la soluzione della crisi da coronavirus il Fondo Salva-Stati, il ben noto Mes, potrebbe, ma è molto pericoloso, tirar fuori la sua “cassetta degli attrezzi”.

C’è, nel Mes, la possibilità di azionare la Pccl, che non è la sigla di qualche organizzazione sovietica, ma il Precautionary Conditioned Credit Line, prestiti concessi in tempi rapidi per evitare il default, ma che non sono condizionati a un MoU (Memorandum of Understanding) di tagli obbligatori alla spesa pubblica e “riforme strutturali”.

Ovvero a un grande aumento della disoccupazione, alla compressione ulteriore del mercato interno, effetti successivi e ovvi, e a catena, per le nostre imprese. Basta siglare, per il governo indebitato, una Lettera di Intenti, che dice le stesse cose del MoU, ma è meno imperativa. Si spera, almeno, nessuno l’ha ancora sperimentato.

Nel caso poi di una Enhanced Conditions Credit Line del Mes, con garanzie rafforzate, che immagino verrebbero richieste al nostro Paese, di tipo MoU, gli effetti sarebbero direttamente proporzionali alla quantità di crediti erogata e al tempo di rientro medio.

Il Mes quindi, è una tagliola o una trappola, e creerebbe, in tempi non brevi, gli stessi disastri che vorrebbe risolvere.

La micoreconomia non è tutta la teoria economica. Non c’è, oggi, una minestra, come quella amena dei marginalisti, che ha il massimo valore marginale al primo cucchiaio e minimo all’ultimo. Di solito, si finisce prima.

Altra fesseria, ma molto diffusa, è quella della patrimoniale. Chiesta da quelli del Fmi e da altri economisti del lunedì, stavolta.

La prima casa non produce reddito: ma si crea immediatamente un aumento della tassazione in fase di recessione economica, e non occorre essere John Maynard Keynes per capire cosa succederebbe dopo.

Intanto, le grandi agenzie di informazioni finanziarie dicono a caratteri cubitali che “ci sono 40 miliardi di usd di ragioni per evitare il debito pubblico italiano”.

Ecco, la vera e futura battaglia si farà anche con la spiegazione, attenta e autorevole, di come si è fatto il debito pubblico italiano, e soprattutto evitando la contro-propaganda di alcuni nostri poco affettuosi amici della Ue.

 

 


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