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Confindustria spiega perché il Recovery Fund è (l’ultimo) jolly per l’Italia

Un Paese al bivio, tra l’eutanasia industriale e la rinascita. Forse nemmeno in Confindustria ci si aspettava una crisi di tale portata e profondità. Ora però, è tempo di scegliere se vivere o condannare il Paese al buio perenne. Le possibilità per ritrovare l’interruttore della luce, spentosi a marzo, ci sono, basta solo volerle utilizzare, possibilmente bene.

E così questa mattina, in occasione della presentazione delle previsioni economiche per il 2020 e il 2021, il Centro Studi di Viale dell’Astronomia, diretto da Stefano Manzocchi, ha suggerito al governo una rotta per evitare di finire sugli scogli: utilizzare subito tutte le munizioni messe a disposizione dell’Europa, a cominciare da quel Next Generation Eu che vale, per l’Italia, 209 miliardi.

IL BIVIO DELL’ITALIA

Vietato fallire, perché un piano B, non c’è. “L’accordo raggiunto su Next Generation Eu che auspichiamo si concretizzi presto, ha soprattutto un forte valore politico perché per la prima volta i governi dei paesi membri dell’Unione hanno, nei fatti, dato vita a un sistema di trasferimenti di risorse verso gli stati che hanno subito maggiormente gli effetti della crisi”, hanno messo subito in chiaro gli industriali.

“Questi strumenti, al contrario del Quadro finanziario pluriennale, sono dedicati a fronteggiare uno shock temporaneo. Per l’Italia, l’utilizzo degli strumenti europei, soprattutto il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (il Recovery Fund, ndr), costituisce un bivio cruciale: se si riusciranno a utilizzare in modo appropriato le risorse e a potenziarne l’effetto portando avanti riforme troppo a lungo rimaste ferme, allora si sarà imboccata la strada giusta per risalire la china. Altrimenti, l’Italia rimarrà un Paese in declino, che non sarà in grado di ripagare il suo enorme debito pubblico”.

csc

CADUTA E RIMBALZO

Ed ecco i numeri dai quali ripartire. Confindustria stima un profondo calo del Pil italiano del 10% nel 2020 ed un recupero parziale del 4,8% nel 202, “una contrazione che porta i livelli di quest’anno “indietro a quelli di 23 anni fa” e che risente di un impatto della crisi Covid “leggermente più negativo di quello atteso alcuni mesi fa”. Attenzione, la stima del Pil 2021 non incorpora gli effetti della manovra che varerà il governo e dell’impatto di risorse Ue come Recovery Fund e Mes, al momento non stimabili. Questo per dare la cifra dell’importanza di incamerare le risorse europee.

IL PROBLEMA LAVORO

Ma c’è un altro dato che preoccupa, quello relativo all’occupazione. Ovvero, -410mila occupati 2020, -230mila in 2021. Una emorragia che non si arresterà nel 2021 quando, “con un recupero incompleto del Pil, la risalita della domanda di lavoro risulterà smorzata e il numero degli occupati si aggiusterà verso il basso: -1% (-230mila persone)”. Nel 2021, comunque, la domanda di lavoro tornerà a salire ma meno del Pil, non tanto da arrestare il calo di occupati.

Su questo capitolo, il presidente degli industriali, Carlo Bonomi (qui l’articolo relativo alla prima assemblea di Confindustria dell’era Bonomi), è stato categorico. “Quando scadrà il divieto dei licenziamenti per le aziende sarà un momento critico. Temo che ci sia la necessità di riorganizzare le imprese, questo vuol dire ristrutturare. Io temo purtroppo che ci sarà non dico un’ondata, ma un numero molto importante di licenziamenti”.

I CONTI PUBBLICI

E i conti pubblici? Confindustria stima un deficit/Pil 2020 al 10,8% e un debito/Pil al 158,7%.  Colpa, “della profonda flessione del Pil (che peggiora il denominatore del rapporto e fa diminuire le entrate fiscali e aumentare la spesa per ammortizzatori sociali, peggiorando il numeratore, ndr) e degli interventi adottati dal governo per contrastare la crisi”.

CACCIA A INDUSTRIA 4.0

Di sicuro, una parte cospicua di Recovery Fund, dovrà essere veicolata su Industria 4.0. Il Centro Studi infatti mostra che i benefici fiscali per la spesa in attività innovative (iper-ammortamento) “per il solo 2017, primo anno di applicazione, hanno interessato 10,2 miliardi di euro di investimenti, mentre la stima per il 2018 è di 15,2 miliardi. Gli investimenti in beni strumentali connessi alla trasformazione digitale hanno quindi registrato un incremento pari a quasi il 50%, con una crescita del peso di questa tipologia d’investimento rispetto al totale dei nuovi macchinari e attrezzature industriali acquistati dalle imprese italiane, dall’11,0% nel 2017 al 15,8% nel 2018. In entrambi gli anni le imprese beneficiarie sono state in prevalenza piccole e medie imprese”.

LA FIDUCIA (E LA SINTONIA) DI GUALTIERI

C’è chi vede il bicchiere mezzo pieno, come il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. “Il rapporto è condivisibile e nella parte analitica abbastanza vicino a quello del governo. Il terzo trimestre sarà molto buono. Il rimbalzo c’è e questo potrebbe portare a rivedere al rialzo le stime del Pil, attualmente al -9%. Con la Nota di aggiornamento a Def (approvata lunedì, ndr) delineiamo un percorso per la prima volta credibile e sostenibile di riduzione del debito. Sono fiducioso che si possa uscire da questa crisi più forti di prima. Ma serve il massimo livello di coesione, dialogo e ascolto”.


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