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Nobel medicina ed epatite C. Premiata la scoperta che ha cambiato la storia

In epoca di Covid non si fa altro che parlare di virologi. Ma in questo caso sono solo tre e non hanno nulla a che vedere con il Sars-Cov-2. In cambio, hanno molto in comune con un altro virus, quello dell’epatite C. Hanno vinto, infatti, il Nobel per la medicina proprio per il contributo decisivo fornito nella scoperta del virus responsabile dell’infezione virale, fra le più diffuse al mondo. Si tratta del britannico Michael Houghton dell’Università di Alberta, dello statunitense Harvey J. Alter dell’Istituto di sanità del Maryland e di Charles M. Rice della Rockefeller University di New York.

HCV, IL VIRUS DELL’EPATITE C

L’epatite C è una malattia del fegato causata dal virus dell’epatite C, scientificamente noto come Hcv (della famiglia dei Flaviviridae). Il virus può causare epatiti sia acute che croniche e di gravità ampiamente variabile. Può infatti originare una patologia superabile in poche settimane ma, al contempo, cronicizzarsi e permanere a vita, sviluppando frequentemente cirrosi o cancro epatico. L’Hcv è un virus a trasmissione ematica: può essere trasmesso attraverso l’esposizione a piccole quantità di sangue con iniezioni non sicure (non necessariamente di sostanze stupefacenti), assistenza sanitaria non sicura, trasfusioni di sangue e prodotti sanguigni non sottoposti a screening, attività sessuali non protette e, infine, di madre in figlio durante la gravidanza. Ad oggi sono circa 71 milioni le persone nel mondo che hanno un’infezione da virus dell’epatite C cronica. Secondo i dati dell’Oms, nel solo 2016 sono morte di epatite C circa 399mila persone.

ISOLAMENTO DEL VIRUS “NON A E NON B”

Negli anni Ottanta, per la prima volta, gli studiosi americani scoprirono che una percentuale delle epatiti virali croniche non presentavano né gli anticorpi per l’epatite A, né quelli dell’epatite B, dimostrando l’esistenza di una epatite ulteriore non ancora identificata, che fu per un primo periodo definita “Non A e Non B”. Nel 1989, per la prima volta, il virus di questa epatite venne isolato e definito Hcv, responsabile della cosiddetta epatite C. La scoperta del genoma del virus ha permesso di identificare i sette genotipi virali G1-G7 che in seguito sono stati associati a una diversa probabilità di risposta alla terapia antivirale (per i genotipi 2 e 3 è più facile la guarigione, per i genotipi 1-4-5-6 la guarigione è più difficile), consentendo l’ottimizzazione delle terapie e un efficientamento dei risultati nelle cure prescritte.

COMITATO PER IL NOBEL: “SPERANZA ERADICAZIONE VIRUS”

“Grazie alla loro scoperta, sono ora disponibili esami del sangue altamente sensibili per il virus e questi hanno essenzialmente eliminato l’epatite post-trasfusione in molte parti del mondo, migliorando notevolmente la salute globale”, ha affermato il Comitato. “La loro scoperta – ha aggiunto – ha anche permesso il rapido sviluppo di farmaci antivirali diretti contro l’epatite C. Per la prima volta nella storia, la malattia può ora essere curata, facendo sperare nell’eradicazione del virus dell’epatite C dalla popolazione mondiale”.

HARVEY J. ALTER: “RISULTATI SBALORDITIVI”

“Vedere così tante persone guarite è sbalorditivo”, ha riferito Harvey J. Alter – che oggi continua a studiare i rischi legati alle trasfusioni di sangue e gli esiti delle nuove terapie per l’epatite C – al Comitato per il Nobel dopo aver ricevuto il Premio. E ci scherza su: “Ero molto arrabbiato perché squillava il telefono di notte. Alla terza telefonata ho risposto. Ed è stata la migliore sveglia della mia vita”, avrebbe riferito, come si legge sul profilo Twitter ufficiale The Nobel Prize.

MAGA: “RICADUTA ENORME IN TERMINI DI SALUTE”

“La ricaduta dell’identificazione del virus dell’epatite C, in termini di salute, è stata enorme. È un premio assolutamente meritato. Grazie a questa scoperta oggi possiamo curare le persone, salvandole”, ha riferito ad Adnkronos salute il direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia Giovanni Maga. “Il virus dell’epatite C, per la prima volta nella storia dell’umanità – ha continuato Maga – è stato identificato in prima battuta come codice genetico. Il genoma è stato individuato nelle cellule infette prima della particella virale. Tutto grazie alle tecniche di biologia molecolare che in quegli anni erano rivoluzionarie. È stato un esempio di come la tecnologia apra orizzonti nuovissimi. E da quella scoperta, anche se ci sono voluti anni, siamo riusciti a eradicare il virus e curare la quasi totalità dei pazienti, anche quelli che fino a pochi anni fa non rispondevano a terapie specifiche”, ha concluso il direttore.

MICROBIOLOGA GISMONDO: “OGGI TRASFUSIONI SICURE”

“L’epatite C ha una trasmissione per via ematica che per tanti anni ha reso insicure le trasfusioni”, ha commentato all’agenzia diretta da Gianmarco Chiocci la microbiologa dell’Ospedale Sacco di Milano Maria Rita Gismondo. “Grazie a questa scoperta le trasfusioni sono diventate sicure, e si sta procedendo anche per poter debellare l’infezione in un prossimo futuro”. Parole che risultano particolarmente rassicuranti nel nostro Paese dove dopo quarant’anni ancora pesa la vicenda sviluppatasi fra gli anni Settanta e gli anni Novanta che ha visto la somministrazione di sangue e plasma non testati per la presenza dei virus delle epatiti virali e dell’Hiv, generando una serie di contagi che, attraverso la profilassi standard, si sarebbero potuti evitare.

DALL’IMMUNOTERAPIA AGLI ANTICORPI MONOCLONALI, I NOBEL DEL PASSATO

Nel 2019 il Nobel è stato assegnato a William G. Kaelin Jr, Sir Peter J. Ratcliffe e Gregg L. Semenza per le scoperte effettuate sulla percezione e la capacità di adattamento delle cellule rispetto alla disponibilità di ossigeno. Nel 2018, invece, il premio era andato agli scienziati James P. Allison e Tasuku Honjo per i risultati ottenuti nell’immunoterapia oncologica. L’anno precedente erano stati invece tre statunitensi (Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young) a vincere il Nobel per aver scoperto i meccanismi molecolari che controllano il ritmo circadiano. Nel 1984, invece, ad essere premiati furono gli immunologi Niels Kaj Jerne, Georges Köhler e César Milstein; studiavano gli anticorpi monoclonali, gli stessi della terapia somministrata a Donald Trump e a Silvio Berlusconi per combattere il Covid-19.



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