Mercoledì il sindaco ha incontrato lontano da occhi indiscreti, presso l’ambasciata Usa di via Veneto, il nuovo presidente americano della Roma Dan Fredkin. Nessun commento ufficiale sui contenuti della chiacchierata ma è facile immaginare che i due abbiano parlato anche, o soprattutto, del nuovo stadio che la società giallorossa punta a costruire da tempo ormai immemore nella città eterna. Occorrono ancora due passaggi delicati, e dall’esito nient’affatto scontato, perché i lavori prendano ufficialmente il via – l’approvazione in Assemblea Capitolina della convenzione e della variante urbanistica necessarie a dare il là al definitivo progetto – ma è chiaro che avviare i cantieri prima del voto di primavera rappresenterebbe un bel risultato da presentare a una città in cui da troppo tempo non si pensa più in grande.
Nel frattempo invece negli altri campi si naviga a vista, alla ricerca di un candidato sindaco che al momento fatica a essere individuato. Sia da una parte che dall’altra. Certo, ancora un po’ di margine esiste ma il tempo inizia a stringere considerato che un nome in campo già c’è – quello di Raggi, appunto – e che al momento si registrano soprattutto la corsa a sfilarsi da parte dei big e tanta confusione.
Dalle parti del centrosinistra non è un mistero che in molti vorrebbero la candidatura del presidente del Parlamento europeo David Sassoli. L’ex giornalista Rai ci aveva provato nel 2013 – alle primarie che poi videro vincere Ignazio Marino – ma ormai sembra aver cambiato idea. Anzi, più sale il pressing nei suoi confronti – si dice che vada da Nicola Zingaretti a Dario Franceschini e che addirittura coinvolga il Colle più alto fino ad arrivare Oltretevere – e più il diretto interessato si affretta a smentire. Qualche giorno fa lo ha fatto in due diverse occasioni a distanza di poche ore, prima in un’intervista al Fatto Quotidiano (“il candidato ideale sarà quello che si presenterà, ma non sarò io”) e poi in video-collegamento a un evento (“l’Europa non è un autobus”). Una sequela di smentite – a inizio settembre ce n’era stata un’altra – difficile da non interpretare, a questo punto, in senso letterale. Anche se effettivamente, poi, in una posizione come la sua sarebbe difficile sbilanciarsi su una decisione così rilevante, senza aver adeguatamente preparato la strada sia dentro che fuori il Partito democratico.
E allora, chi potrebbe essere il candidato del centrosinistra alle prossime comunali di Roma? Nicola Zingaretti, che prima delle regionali aveva detto di avere un nome in mente, continua a sfogliare la margherita, non senza preoccupazione, come ha lasciato trasparire in questi giorni: “Faccio appello alla classe dirigente di sentire anche il dovere etico e civile di dare a questa Capitale l’opportunità di essere la riscossa del riformismo italiano. Io solleciterò la classe dirigente democratica a farsi avanti. Se non ci sarà, allora tra dicembre e gennaio faremo le primarie, e i cittadini sceglieranno”. Per ora, appunto, si può solo dire chi non sarà della partita, stando almeno alle dichiarazioni ufficiali. In pratica, hanno già declinato il commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, il leader di Azione Carlo Calenda. Tutti nomi di primo piano che per un motivo o per l’altro avrebbero potuto essere papabili per Roma. In compenso si registrano diverse candidature per le primarie di coalizione il cui svolgimento, per la verità, non è affatto scontato. In questo senso hanno dichiarato di volerci essere la senatrice dem Monica Cirinnà, il mini-sindaco Giovanni Caudo, il promotore dell’osservatorio Roma puoi dirlo forte Tobia Zevi e il consigliere regionale – coordinatore del movimento Demos e membro della Comunità di Sant’Egidio – Paolo Ciani. Lista da cui, onestamente, non è facile ritenere possa uscire il nome di chi guiderà il centrosinistra alle prossime elezioni capitoline.
Qualche voce sparsa negli ultimi giorni ipotizza che a correre per le comunali di Roma possa essere il ministro della Salute Roberto Speranza, forte di un gradimento personale molto elevato a livello nazionale – e in occasione delle regionali abbiamo visto quanto possa contare l’aver gestito in prima persona e con buoni risultati l’emergenza pandemica – ma con il limite di non essere romano di nascita, seppur fortemente romanista (con tanto di abbonamento stagionale allo stadio). Altro nome di cui si parla è quello di Massimo Bray, già ministro dei Beni culturali e direttore generale della Treccani, ma anche qui siamo nel campo delle voci.
Nel centrodestra invece, se vogliamo, le cose vanno ancora più a rilento. Dopo il no, peraltro abbastanza preventivabile, di Giorgia Meloni – che, alla luce dei risultati elettorali ottenuti dal 2018 in poi, ha scelto di concentrarsi sulla scena nazionale con il sogno di provare a diventare leader della coalizione – la situazione sembra essersi cristallizzata. Anche qui di nomi ne sono stati fatti numerosi – da Fabio Rampelli (qui una sua recente conversazione con Formiche.net) a Giulia Bongiorno fino a Maurizio Gasparri – ma l’impressione è che alla fine si sceglierà un’altra strada. Quella per la quale a tentare la scalata al Campidoglio non dovrebbe essere un politico in senso stretto bensì una personalità proveniente dal mondo dell’impresa, delle professioni o dell’università.
Su questo punto i partiti sembrano abbastanza d’accordo. Lo sono sicuramente la Lega e Forza Italia – che lo hanno lasciato intendere a più riprese in maniera più o meno esplicita – ma in fondo pure Fratelli d’Italia che in teoria, in virtù del suo storico radicamento, a Roma potrebbe vantare una sorta di diritto di prelazione che però, in parte, può ritenersi superato in virtù del rifiuto di Giorgia Meloni. In quest’ottica si è parlato ad esempio del manager Flavio Cattaneo (difficilissimo per una serie di ragioni), dell’ex presidente degli industriali di Roma Aurelio Regina (ne ha parlato ieri Il Foglio con Simone Canettieri) e di Franco Frattini. Quello di quest’ultimo in particolare potrebbe essere l’identikit giusto: con un’esperienza politica di primo piano – culminata nel doppio mandato alla Farnesina e nel ruolo di commissario europeo – ma anche dalle solide competenze professionali, attuale presidente di sezione del Consiglio di Stato e numero uno della Sioi. Non ha smentito ufficialmente, almeno non che risulti, e, forse, è già qualcosa.