Con un editoriale su Repubblica il direttore Maurizio Molinari sottolinea l’urgenza per l’Italia di un ecosistema cyber alla luce delle nuove minacce cibernetiche e della partita del Recovery Fund. Sullo sfondo, quell’Istituto cyber del Dis che, al di là del merito e del metodo, può colmare un gap in Ue
Chi l’avrebbe mai detto? La cybersecurity, in prima pagina, su uno dei più grandi quotidiani italiani. Succede a Repubblica, con un lungo editoriale del direttore Maurizio Molinari, “Difesa cyber e interesse nazionale”. E già fa notizia in sé. Relegato per anni alla cerchia ristretta di addetti ai lavori, finalmente il tema della sicurezza cibernetica diventa di dominio pubblico, accessibile.
Non è un fatto di cronaca quanto semmai una congiuntura temporale a stimolare l’intervento dell’ex direttore della Stampa. Quella cioè che vede l’Italia alle prese con un’impennata del rischio cibernetico coincidente con la pandemia di Coronavirus e di fronte a due appuntamenti chiave in Ue. L’adozione, a metà dicembre, della nuova strategia di cybersicurezza da parte della Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen. E l’arrivo dei fondi del Next generation Eu e del bilancio pluriennale destinati al digitale.
“La creazione del Nucleo per la sicurezza cibernetica nel 2017 ha posto le basi per istituire nel 2019 il Centro per la cyber sicurezza nazionale che nell’ultimo anno è servito per identificare e respingere più infiltrazioni maligne contro il nostro Paese e, segnatamente, le infrastrutture sanitarie – scrive Molinari – Si tratta ora di creare, attorno a questo nucleo operativo, una rete di interazione con la società civile – dalle imprese alle università – capace di ripetere sul fronte cyber la collaborazione civili-militari che si è rivelata negli ultimi anni decisiva nel proteggere il Paese dai rischi di attacchi terroristici”.
Di qui il direttore affronta uno dei dossier più scottanti della politica italiana: quell’Istituto italiano di cybersicurezza (Iic) sotto il coordinamento del premier Giuseppe Conte e del Dis che è stato inserito e poi rimosso all’ultimo dalla bozza di bilancio dopo un duro confronto fra forze di maggioranza. “Lo scontro politico in atto sulla proposta creazione di un Istituto italiano di cybersicurezza”, spiega, non deve far dimenticare “tre bisogni che rispondono al nostro interesse nazionale”. Ovvero “creare un network integrato fra Difesa, aziende e centri di formazione per far convergere le migliori risorse nazionali nella protezione digitale”, “non rimanere indietro nel cyber rispetto ad altri partner Ue e Nato” e “dotarci in fretta di un efficace sistema di difesa nazionale dalla minaccia di cyber attacchi”.
Quel “network integrato” altro non è che l’“ecosistema cyber” di cui esperti, accademici e politici su Formiche.net, da Paolo Prinetto a Mario Caligiuri, da Luigi Martino a Roberto Setola e Corrado Giustozzi, hanno sottolineato l’urgenza in queste settimane. Il modello non è dissimile da quello (che Molinari conosce bene) già sperimentato con successo in Israele, dove ricerca, imprese, governo e intelligence lavorano senza soluzione di continuità. Un ecosistema, appunto. Perché il network europeo sia davvero integrato c’è bisogno che l’Italia faccia la sua parte. L’European cybersecurity competence center in via di formazione dovrà lavorare con una rete di centri nazionali. L’Italia, oggi, ancora non ne ha uno. Niente centro, niente fondi Ue, niente cybersecurity.