Il caso del cargo italiano diventato una nave da guerra iraniana, il processo Assadi e non solo. Ecco perché fare affari con l’Iran è un rischio (soprattutto per l’Italia). Scrive l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri
Negli ultimi mesi i riflettori sul Medio Oriente hanno accentuato luci e ombre di uno scenario sempre più in movimento. Speranze e ottimismo sono stati incoraggiati dagli Accordi di Abramo favoriti, ricordiamolo, dall’amministrazione Trump. Un numero crescente di Stati arabi manifesta interesse a ridisegnare gli equilibri tra il mondo arabo e Israele. Eccezione bellicosa a questo “nuovo corso” rimane il regime degli Ayatollah e dei suoi Paesi proxy (Iraq, Libano e Yemen).
Come di recente osservato anche su queste pagine, sono in aumento i Paesi occidentali che manifestano insofferenza — quantomeno — verso Teheran. Ciò è avvenuto con la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla vergognosa situazione dei diritti umani in Iran; con il processo in Belgio, al diplomatico iraniano Assadollah Assadi – in realtà un agente dell’intelligence del regime – personaggio chiave del fallito attentato terroristico al raduno della Resistenza iraniana, nel 2018, in Francia. Per lui e i suoi complici la procura ha chiesto pene fino a 20 anni di carcere. E aumenta anche il numero di Paesi Ue che considerano Hezbollah nel suo insieme un’organizzazione terroristica governata e finanziata da Teheran.
In tale contesto sta facendo scalpore in molte capitali di Paesi nostri alleati la notizia della nave cargo italiana trasformata in nave da guerra del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. A chiedere immediati chiarimenti al governo è stato l’onorevole Antonio Zennaro, membro del Copasir, con un’interrogazione a risposta scritta per conoscere se effettivamente “questa nave di fabbricazione italiana effettivamente sia entrata a far parte della Marina militare iraniana” , per accertare le modalità che hanno portato a tale acquisizione.
Da molto tempo il regime iraniano si contraddistingue nel contrabbando e nell’acquisizione illecita di materiali e tecnologie militari vietati all’Iran. Sfrutta ogni ambiguità delle definizioni dual-use per aggirare le sanzioni internazionali. Ma tutto questo diventa scandaloso quando le “distrazioni” dei fornitori facciano nascere il dubbio che esse avvengono con il consenso dei governi e dei loro organi di controllo. La vicenda della nave cargo italiana trasformata in portaelicotteri diventa l’ennesima dimostrazione che gli “affari oscuri” con Teheran non valgono il rischio al quale aziende e governi in tal modo si espongono. Da tempo la Ong americana “United Against a Nuclear Iran” sottolinea alle imprese e alle organizzazioni di categoria, in ogni occasione possibile (convegni, fiere commerciali, studi economici), che l’economia iraniana è concentrata nelle mani dei Pasdaran. È elevatissima la probabilità che operazioni commerciali in quel mercato si traducano in finanziamenti ad attività criminali e terroristiche del regime e al suo programma nucleare.
Nonostante le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu e gli stessi accordi Jcpoa del 2015, la corsa in forma clandestina dell’Iran verso l’arma nucleare non si è mai arrestata. È accaduto il contrario, con laboratori allestiti all’interno di siti militari, al riparo dagli osservatori internazionali. Ed è proprio il principale responsabile di attività vietate dalla comunità internazionale, Mohsen Fakhrizadeh, che è stato pochi giorni fa colpito a morte da ignoti killer. Il regime ha subito accusato Israele. Di certo, per ora, è solo che l’immane apparato di sicurezza degli ayatollah non riesce a proteggere i suoi scienziati nucleari, anche in passato eliminati a più riprese.
Teheran continua a negare le evidenze, a violare di impegni assunti, a disattendere ai trattati in vigore: in materia di lotta al terrorismo, di tutela delle minoranze, di rispetto dei diritti umani, di non proliferazione, di abolizione della tortura, di trattamento dei prigionieri politici, e di molto altro. L’edizione di quest’anno del “Med”, i dialoghi organizzati dalla Farnesina e dall’Ispi, avrebbe dovuto segnare una netta svolta rispetto all’appeasement incondizionato che i governi di questi ultimi anni hanno regalato agli ayatollah.
È incomprensibile, invece, che un’occasione di alta visibilità sia anche quest’anno assicurata dagli organizzatori dell’evento al ministro degli Esteri iraniano il prossimo 3 dicembre. Mohammad Javad Zarif ne approfitterà, come in passato, per diffondere un’odiosa propaganda anti-israeliana, antisemita e di radicalizzazione di ogni possibile conflitto in Medio Oriente. Era proprio necessario invitare Zarif? In un contesto rasserenato certamente dagli Accordi di Abramo (fortemente criticati da Teheran) ma deteriorato dall’Iran con le attività terroristiche riconducibili al “diplomatico-terrorista” Assadi, con i programmi nucleari nascosti, e gli orrori delle pulizie etniche in Siria perpetrate da proxy dell’Iran? Forse qualcuno poteva avere buon senso sufficiente a risparmiarcelo.