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Budget, veti e accuse. Al Pentagono è scontro tra Trump e Biden

La Camera Usa ha approvato nuovamente il maxi budget militare da 740 miliardi di dollari per il 2021, dando il suo contributo al primo “override” dei quattro anni di Trump, cioè il superamento del veto presidenziale. Serve però anche il voto del Senato, atteso nei prossimi giorni, mentre Biden accusa apertamente la leadership del Pentagono di non favorire la transizione

Botta e risposta tra Joe Biden il capo del Pentagono Chris Miller. Il presidente eletto punta il dito sugli “ostacoli” posti alla transizione dalla leadership del dipartimento della Difesa, ormai dimezzata e composta da soli fedelissimi di Donald Trump. Miller rispedisce le accuse al mittente, ma è ormai chiaro che la partita della transizione si giochi al Pentagono, tra la delicata conferma del segretario designato Lloyd Austin e il veto posto dal presidente uscente al maxi budget militare da 740 miliardi di dollari per il 2021. Capitol Hill è già al lavoro per superarlo.

IL VOTO ALLA CAMERA

Lo ha già fatto ieri la Camera, approvando nuovamente il National defense authorization act (Ndaa) con 322 voti a favore e 87 contrari, in leggero calo rispetto ai 355 sì di due settimane fa ma comunque bastevoli per superare i due terzi richiesti dalla legge per sbloccare il veto presidenziale tramite il cosiddetto “override”. Trump ha bloccato il budget militare lo scorso 23 dicembre, creando non pochi problemi visto che il calendario dei lavori al Congresso prevedeva la ri-apertura il 3 di gennaio. Il presidente uscente ha spiegato che il bill “non include misure indispensabili per la sicurezza nazionale”, anche se la sua opposizioni riguarda alcune disposizioni specifiche. Primo, il cambio di nome alle basi militari intitolate ai comandanti confederati. Secondo, il mantenimento dello scudo legale ai social media (la “Section 230”) che avrebbe voluto vedere abrogata. Terzo, infine, un regime più stringente di bilanciamento per i ritiri annunciati da Germania, Afghanistan e Corea del Sud.

IL NODO AL SENATO

Per superare il veto serve però anche un nuovo voto a maggioranza dei due terzi al Senato. Si immaginava potesse avvenire già oggi, ma Bernie Sanders, ormai tra le fila degli indipendenti, ha chiesto al leader della maggioranza repubblicana Mitch McConnell di votare prima il progetto di legge per ulteriori stimoli all’economia nazionale (assegni da duemila dollari). Ciò potrebbe spostare il voto sull’override a venerdì 1 gennaio, ultimo giorno utile per l’approvazione dell’Ndaa che autorizza tutte le spese della Difesa per il 2021. Oltre i tempi stretti non si prevedono sorprese particolari, considerando che in prima battuta il bill ha ricevuto 84 voti (13 i contrari). Inoltre nella storia americana il budget per la Difesa è sempre stato approvato. Raro comunque l’override: riesce statisticamente nel 10% dei casi; nei quattro anni di Donald Trump, nessuno degli altri otto veti presidenziali è stato per ribaltato.

L’ACCUSA DI BIDEN

La partita sembra inserirsi in un quadro politico più ampio che da Capitol Hill va al Pentagono, passa per la Casa Bianca e arriva al 1401 di Constitution Avenue, lì dove c’è il quartier generale del team di transizione del presidente eletto. Ieri Joe Biden ha detto che la sua squadra ha incontrato “ostacoli” nell’interlocuzione con la leadership del Pentagono, a sole tre settimane dall’insediamento della nuova amministrazione. Si rischia di “minare la sicurezza nazionale durante la transizione”, ha spiegato Biden secondo il sito Axios. “A ora – ha aggiunto – non abbiamo tutte le informazioni necessarie; è estremamente irresponsabile; ci serve conoscere il budget pianificato dalla Difesa e dalle altre agenzie in modo da evitare fasi di confusione di cui potrebbero approfittare i nostri avversari”.

… E LA RISPOSTA DI MILLER

Gli ha risposto il segretario alla Difesa pro tempore Chris Miller, il fedelissimo che Trump ha posto alla guida del Pentagono dopo le dimissioni di Mark Esper che hanno fatto seguito al voto del 3 novembre. Miller ha negato “ostacoli”, sostenendo che “il dipartimento della Difesa ha condotto 164 interviste con più di 400 funzionari, ha consegnato oltre cinquemila pagine di documenti, molto più di quanto richiesto inizialmente dal team di transizione di Biden”.

LA SITUAZIONE DELLA DIFESA

L’impressione è che la parte più delicata della transizione si concentri proprio al Pentagono. Nei giorni che hanno seguito il voto, insieme a Mark Esper ha lasciato praticamente l’intera leadership del dipartimento: James Anderson (sottosegretario per la Policy, numero tre del dipartimento), Joseph Kernan (sottosegretario per l’intelligence) e Jen Stewart (capo dello staff di Esper). Unico elemento di continuità il vertice militare, il capo di Stato maggiore Mark Milley, che però non ha nascosto insoddisfazione per alcune mosse della presidenza uscente, soprattutto l’accelerazione in tema di ritiri. In più, nelle ultime settimane Trump è riuscito anche a piazzare nei comitati indipendenti del dipartimento della Difesa (soprattutto il Defense Policy Board) alcuni suoi fedelissimi, lasciando un contesto non troppo agevole alla transizione.

VERSO IL NUOVO CAPO DEL PENTAGONO

Per Biden c’è infine la partita del prossimo capo del Pentagono. Il presidente eletto ha designato il generale Lloyd Austin III uscendo allo scoperto con un lungo editoriale su The Atlantic. Così lungo da confermare l’impressione che Biden sia ben consapevole delle difficoltà della nomina. Essendosi ritirato dal servizio attivo nel 2016, l’ex capo dello US CentCom non ha infatti i sette anni dal congedo richiesti dalla legge per poter assumere posizioni di vertice al Pentagono. E così sarebbe necessario il “waiver”, cioè la deroga legislativa con passaggio alla Camera e al Senato, e poi la firma del presidente. Il dibattito politico sul tema è acceso. C’è il rischio che Austin non ce la faccia, complici l’opposizione repubblicana e la tradizione democratica, abituata a lottare per il principio di controllo civile sul dipartimento della Difesa.



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