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Trump, Q-Anon e i guai nucleari. Ecco il filo rosso

Mentre la leader democratica della Camera chiede di controllare Trump e le armi nucleari al Pentagono, il vero problema dietro e oltre al presidente sono le milizie dell’ultra-destra e la fusione con i culti cospirazionisti, da Q-Anon ai suprematisti. Ecco il filo rosso nell’analisi di Emanuele Rossi

Una mossa della Speaker della Camera statunitense, Nancy Pelosi, ha ricevuto venerdì 8 gennaio un grande spin mediatico. La notizia dice che la decana dei Democratici al Congresso e leader del partito ha parlato con il capo dello stato maggiore congiunto, Mark Milley, per discutere le precauzioni disponibili per impedire a un presidente “instabile” di “avviare ostilità militari o accedere ai codici di lancio e ordinare un attacco nucleare”. Così secondo la lettera inviata ai colleghi congressisti e fatta arrivare ai media internazionali. Aggiunta velenosissima: secondo la Speaker, la situazione di “questo presidente instabile non potrebbe essere più pericolosa”. Quel presidente è chiaramente Donald Trump.

POLITICA NUCLEARE

La mossa di Pelosi è puramente politica – tra l’altro quanto richiesto non ha previsione tecnico-giuridica, dato che Trump è fino al 20 gennaio commander-in-chief, e per ora resta in potere di dare ordini; potere che non spetta alla Speaker della Camera, sebbene non sia chiara la catena di comando/controllo che possa portare a fermare un eventuale ordine nucleare del presidente. La più importante e rappresentativa leader del partito del presidente eletto, Joe Biden, sta facendo un lavoro elettorale. Sottolinea un momento delicato per la stabilità interna americana, una fase complessa per i rivali Repubblicani, uno spazio di consenso.

Trump è il responsabile ultimo dell’assalto a Capitol Hill che ha indignato il mondo, e la sua acerrima rivale usa la situazione per infierire sul corpo politico del presidente uscente. C’è da recuperare terreno su una grande fetta di elettorato che oscilla tra Elefantino e Asinello, o quanto meno instillare il dubbio tra i repubblicani meno (o mai) convinti dal trumpismo.

È una mossa spinta, ma tatticamente comprensibile: difficile prendere per realistica l’ipotesi di un Trump che spara un missile nucleare per lasciare a Biden un’America in una situazione di difficoltà estrema, infatti; ma stressare la questione non serve solo a dire che la prudenza non è mai troppa, ma a sottolineare che Trump è “instabile” e “pericoloso” e che bisogna tenere duro ancora pochi giorni prima che con la presidenza Biden tornino i buoni.

Il messaggio inoltre serve anche a sottolineare la forza del Congresso, e infatti alcuni senatori repubblicani si sono mossi e hanno chiesto le dimissioni del presidente. Il più potente degli apparati e il centro della democrazia americana non può essere violato da un’azione in cui Trump, il presidente, ha privilegiato l’interesse personale sulle istituzioni, e inoltre s’è esposto vulnerabile alle pretese dell’ultra-destra, la miscellanea di gruppi e milizie spesso armate e con idee eversive.

TWITTER E LA BOMBA TRUMP

Ed è qui che sta il problema. Il rischio non è tanto quello indicato da Pelosi, ma quello da lei evocato ed espresso nero su bianco nella dichiarazione con cui Twitter ha spiegato le ragioni della sospensione definitiva dell’account personale @realDonaldTrump – arrivata dopo che 350 dipendenti hanno chiesto all’azienda che venisse rispettata la propria policy e che non fossero fatti privilegi (decisione contro cui tra l’altro Trump si è scagliato con toni violenti usando l’account istituzionale @POTUS).

“I piani per future proteste armate hanno già iniziato a proliferare dentro e fuori Twitter, compreso un attacco secondario proposto al Campidoglio degli Stati Uniti e agli edifici statali il 17 gennaio 2021”, dice Tiwitter. È la ragione messa per ultima – per dare risalto – a quelle che stanno al fondo della decisione del social network (già storica), e non si tratta di privazione della libertà di espressione, ma del rischio che le parole di Trump possano in qualche modo fare da innesco ad azioni eversive.

LE MILIZIE E LA RADICALIZZAZIONE DEI SOSTENITORI

Come ha spiegato Bellingcat in un’analisi uscita due giorni prima dell’assalto al Campidoglio, uno degli effetti prodotti da queste ultime settimane – quelle in cui Trump ha cercato di mascherare la sconfitta elettorale di novembre parlando di brogli e di macchinazioni contro di lui – è stata la radicalizzazione che le milizie come i Proud Boys e altri gruppi dell’estrema destra (armata) hanno prodotto tra i fanatici trumpiani.

L’effetto, “una manifestazione reale della radicalizzazione online” come l’ha definita Brian Stelter della CNN, è l’attacco al Congresso in cui i corpi armati hanno fatto da apripista e i seguaci di Trump sono penetrati nell’edificio; l’azione potrebbe non essere stata casuale, ma pensata come test (tra l’altro val la pena ricordare che ha esposto una vulnerabilità degli Stati Uniti: oggi lo Stato islamico nella sua rivista online commenta quanto avvenuto a Washington sostenendo che ha aperto nuove opportunità di azione ai suoi seguaci).

La peggiore delle responsabilità storiche di Trump e del suo team sta nel non aver mai stigmatizzato e marginalizzato queste realtà eversive ed estremiste per ragioni di consenso elettorale e per minimizzare il (un) problema.

La radicalizzazione dei seguaci trumpiani nelle ultime settimane ha avuto risultati più concreti, ma è in corso da diverso tempo.

È un processo che segue dinamiche molto simili a quelle di svariati altri radicalismi di carattere ideologico, come quello islamico. Per esempio, la famiglia di uno degli arrestati, un ex colonnello dell’Aeronautica del Texas, dice che era un brav’uomo, ma nell’ultimo anno ha iniziato via via a diventare sempre più ossessionato dalla politica, a esprimere posizioni sempre più estremiste e a vagheggiare di piani per impedire la fine della presidenza Trump.

In molti tra quelli che sono entrati cercavano il vicepresidente Mike Pence: volevano processarlo per tradimento, dicevano che avrebbero voluto impiccarlo. Pence era colpevole di non aver accettato la fantomatica richiesta di Trump di non ratificare la vittoria di Biden – da notare che è per dichiarazioni come queste e per i loro effetti velenosi tra i facinorosi e il loro sfruttamento da parte delle milizie eversive che i social network hanno chiuso gli account di Trump.

Il Secret Service ha portato via tutti i legislatori, ma cosa sarebbe successo se l’evacuazione non fosse avvenuta in tempo? Se quelli entrati dentro (alcuni, pochi, armati) avessero trovato Pence o qualche senatore democratico? Lo avrebbero linciato, giustiziato tra la folla? Oppure erano solo degli slogan?

“RAPIREMO LA TIRANNA”: UNO DEI PRECEDENTI

A ottobre l’Fbi ha reso pubblico l’affidavit contro una cellula di estremisti interni che pensava di rapire la governatrice democratica del Michigan, Gretchen Whitmer. Il piano prevedeva l’assalto all’edificio del congresso statale, prendere la leader locale, far esplodere un ponte per proteggere la fuga, portarla in un posto remoto nel Wisconsin e lì processare “la stronza tiranna”, come la chiamavano. Tutto in diretta televisiva.

Per l’azione si erano organizzati: avevano preso armi, visori notturni, un mirino di precisione per cecchini, e un teaser per stordire Whitmer.

Quelli che volevano rapire la governatrice erano in meno di venti (traditi perché l’Fbi aveva un informatore tra di loro), ma volevano reclutare un paio di centinaia di persone e soprattutto –  live – volevano emulare l’impresa in altri Stati del Paese. I militanti sono convinti che, attraverso una guerra civile, si possa mettere fine alla “tirannia delle istituzioni”. Sono definiti dagli esperti “accelerazionisti”.

IL CULTO DI Q E MOLTO ALTRO

Questi pensieri sono propri anche del fenomeno Q-Anon, che in questo ultimo anno ha spopolato anche complice la crisi psicologica (e sociale ed economica) prodotta dalla pandemia. “Di fronte a una realtà in evoluzione e difficile da comprendere, QAnon restituisce un senso di comunità, riunita intorno a un obiettivo per trovare uno o più colpevoli delle tragedie che affliggono l’umanità: ‘Where We Go One We Go All’ (WWG1WGA), affermano i seguaci, invocando una rivoluzione che stabilisca il nuovo ordine mondiale”, spiega Claudia Annovi in un report per il CeSI. Q-Anon è una teoria del complotto datata (che Formiche.net segue fin dal 2016, quando veniva definita “Pizzagate” e già trovava credito tra il gruppo dirigente e famigliare trumpiano). È nata dalla pubblicazione delle email dei democratici da parte di WikiLeaks – che le aveva ricevute dopo l’attacco hacker russo durante la campagna elettorale Usa2016.

Si parla di una fantomatica rete di satanisti guidati dalla leadership democratica e dall’establishment economico statunitense: teorie assurde diffuse attraverso piattaforme come 4Chan, 8Chan e Parler, che altro non sono che spazi d’incubazione del suprematismo bianco dove le milizie estremiste di destra creano proselitismo. Il messaggio ultimo di Q è la ricerca autonoma delle verità, e anche per questo ormai è più che altro un aggregatore, non un’organizzazione reale e operativa in quanto tale.

Malgrado la diffusione dei contenuti collegati a Q in questo anno sia esplosa del 651 per cento, la maggioranza degli americani ne ignora addirittura l’esistenza, spiega Annovi, ma sono molti gli americani che invece credono ad alcune delle teorie cospirative contenute nel culto di Q (per esempio le cospirazioni sul 9/11 o la negazione della pandemia Covid).

Questo ha permesso alle forze più eversive – e organizzate in modo paramilitare – di amplificare il proprio ruolo sfruttando certi spazi narrativi, certe piattaforme e una generale predisposizione delle persone che anni fa non c’erano. Sono queste sovrapposizioni e queste fusioni che rappresentano la peggiore minaccia per gli Stati Uniti. L’Fbi ha definito il fenomeno Q una potenziale minaccia terroristica interna, e recentemente a Nashville se n’è vista la dimensione di questo “terrorismo complottista” con l’attentato in Second Avenue del giorno di Natale.

Qualcosa che resterà anche oltre Trump. Il 29 aprile per esempio una donna di nome Jessica Prim è stata arrestata a Staten Island in possesso di alcune armi: voleva uccidere Biden per il suo coinvolgimento nel commercio e abuso di minori e liberare i bambini tenuti in ostaggio nella “USNS Comfort”, una nave ospedaliera della Marina ferma per mesi al porto di New York per curare i malati di Covid-19. Qualcosa che va ben oltre allo sciamano fire an furry Jacob Anthony Chansley, il qanonista che per il suo look ha attirato l’attenzione dei media internazionali durante l’assalto. Qualcosa per cui il senatore democratico Bernie Sanders ha avanzato il dubbio di opportunità sul se procedere con azioni come la richiesta di impeachment contro Trump evidenziando il rischio che questo potrebbe peggiorare la situazione sociale e le eventuali contrazioni (un po’ come dichiarare che il presidente è un pericolo nucleare come ha fatto Pelosi).


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