Linea chiara di Biden anche sul Quad: la partnership con India, Australia e Giappone va istituzionalizzata e implementata come forma di contenimento della Cina. Un altro tassello dell'”alleanza delle democrazie” che gli Stati Uniti vogliono creare (anche) nella regione
Parlando a una conferenza allo United States Institute for Peace, Usip, il consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha detto che l’amministrazione Biden “vuole davvero portare avanti” la trasformazione di un rete frastagliata di partnership nell’Indo-Pacifico in un raggruppamento di alleanze basate sul quadrilatero di potenze Usa, India, Australia e Giappone. Si tratta dell’implementazione del cosiddetto “Quad” e questa affermazione di Sullivan molto importante perché spiega chiaramente che la strategia statunitense in quella regione nevralgica non sarà modificata rispetto all’amministrazione Trump (come previsto). L’implementazione del Quad, trasformalo in qualcosa di ben più strutturato rispetto alla rete di sicurezza informale che è stato finora, è parte importante della strategia di contenimento della Cina, ed è perfettamente coerente con questa necessità, nonché con l’idea molto bideniana di costruire un’alleanza delle democrazie che faccia fronte all’autoritarismo cinese anche sul piano della narrazione ideologica.
Tant’è che il predecessore di Sullivan, Robert O’Brien, (presente all’Usip in talk show digitale con Sullivan moderato da un’altra ex del ruolo, Condoleeza Rice) definisce il Quad “molto probabilmente la più importante relazione che stiamo sviluppando”, dando un’immagine dei tempi: se anni fa la relazione principale era quella transatlantica per unirsi all’Europa e contenere la Russia, ora la partita è in parte cambiata, e con l’avversario nuovo — la Cina — è cambiato il campo di gioco. La Cina (come la Russia) va contenuta iniziando dal quadrante geografico che sente più prossimo, l’Indo-Pacifico, per frenare da subito (fin da lì) ambizioni globali. Chi per l’amministrazione Trump ha messo in pratica le parole di O’Brien è stato Mike Pompeo: a ottobre (il mese dell’Indo-Pacifico), l’allora segretario di Stato era a Tokyo per partecipare con gli altri colleghi del formato a un riunione dalle quale uscì una linea chiara: “Una volta che avremo istituzionalizzato quello che stiamo facendo noi quattro assieme, potremo iniziare a costruire una vera cornice di sicurezza”.
Ai tempi si è subito iniziato a parlare di “Nato asiatica”, concetto che ai giapponesi ha subito fatto storcere un po’ il naso perché Tokyo è tornato al pensiero strategico ma intende muoversi con parziale autonomia da Washington e non aprire una faglia da nuova guerra fredda nel Pacifico. Questa scarsa capacità degli Stati Uniti di far passare attualmente le proprie necessità esistenziali (ossia strategiche) e di farle assimilare ad alleati e clientes rende l’Impero americano più friabile (si veda lo scivolone della Recep), e in questo le parole di Sullivan cercano un cambio di direzione attraverso la democrazia: fil rouge, espediente narrativo, sincero convincimento dei Bidens.
Sullivan ha detto che gli Usa devono “essere al passo con gli alleati e i partner” e questo si traduce in democrazie che “difenderanno i principi” e che sono disposte a imporre costi alla Cina per flagranti violazioni dei diritti umani e della sovranità di altre nazioni. Parte della sfida per Washington è qui: convincere gli alleati (tutti) che quando la Cina sostiene che il modello americano “non funziona”, sta facendo “una dichiarazione esplicita che esiste un’alternativa alla democrazia rappresentativa”, per usare le parole di Sullivan, e dunque per Washington il lavoro sta nel far percepire a coloro che stanno sul suo lato che l’autoritarismo del Partito/Stato attacca un modello di vita (la democrazia e ciò che ne segue) e vuole pericolosamente proporsi da sostituto.
(Foto: le marine di Usa, Giappone, Australia e India durante l’esercitazione congiunta Malabar nell’Indo-Pacifico)