Skip to main content

L’Europa è cambiata. Ora è tempo di rinascere. Il saggio di Paganetto

Rigore sui conti e vincoli di bilancio spazzati via, sfide globali, uno Stato un po’ imprenditore e un po’ no. E tanta voglia di tornare a crescere. L’Europa (e l’Italia) davanti a una sfida storica dalla quale è impossibile fuggire. Il libro  Rivitalizzare un’Europa (e un’Italia) anemica di Luigi Paganetto, presidente della Fondazione Economia Tor Vergata

L’Europa brutta sporca e cattiva forse non esiste più. Sono lontani i ricordi dell’austerity, del Patto di stabilità senza se e e senza ma e del deficit al 3% del Pil. Oggi il progetto comunitario nato 71 anni fa dalle macerie della guerra, ha un nuovo volto. C’è la peggiore pandemia dai tempi della Spagnola, una crisi socio-economica che impone nuovi equilibri globali e soprattutto la riscrittura di certe regole che proprio non vanno più bene.

Insomma, tempo di nuova Europa, di Recovery Fund. E l’Europa nuova c’è e si sente, come racconta l’economista, presidente della Fondazione Economia Tor Vergata e vicepresidente di Cassa Depositi e Prestiti Luigi Paganettto nel libro, appena pubblicato in formato cartaceo e digitale, Rivitalizzare un’Europa (e un’Italia) anemica, (edizioni Eurilink University Press). E poi, non un dettaglio, all’orizzonte c’è un governo mai tanto atteso e che porta il nome di Mario Draghi.

IL VOLTO (UMANO) DELL’EUROPA

“Oggi”, spiega Paganetto a Formiche.net, possiamo dire l’Unione europea, dopo essere stata bersagliata a lungo da aspre critiche legate al ruolo dell’euro, alle politiche di austerità e alla sua incerta governance ha fatto molto, in poco tempo, per contrastare i devastanti effetti economici della pandemia: ha sospeso le regole del Patto di stabilità e crescita, consentendo ai singoli Paesi di poter spendere senza più vincoli di disavanzo e debito, ha sospeso le norme che impedivano gli aiuti di stato alle imprese in difficoltà per consentire l’erogazione della necessaria liquidità all’economia. E ha tolto ogni condizionalità ai prestiti del Mes per le spese sanitarie dirette e indirette degli Stati membri fino al 2% del Pil di ogni paese”.

Non è finita. “La Commissione ha poi previsto il sostegno temporaneo (Sure) alle casse integrazioni nazionali con prestiti ai governi fino a 100 miliardi complessivi e la Bce ha varato, dopo alcune esitazioni iniziali, un piano di acquisti di dimensioni senza precedenti, per oltre mille miliardi di titoli pubblici e privati (il cosiddetto programma Pepp)”.
Per tutti questi motivi, nel volume Paganetto, nel sottolineare questa radicale evoluzione delle regole europee e la straordinaria lungimiranza del Next Generation Eu che prevede finanziamenti per 672,5 miliardi distribuiti ai Paesi membri osserva che, con un conteggio di massima che mette assieme tutti gli interventi, si arriva a quello che è stato definito un Piano Marshall made in Ue, pari a circa 2,400 miliardi.

VADEMECUM PER LA SALVEZZA

Bisogna però essere realisti e non lasciarsi trasportare dal troppo entusiasmo, rischiando una sbornia poco costruttiva. Per questo Paganetto non manca di sottolineare che, superata la crisi, ci aspettano appuntamenti assai difficili. D’altronde, il famoso Gruppo dei 20, da quando lui stesso l’ha fatto nascere una decina di anni fa, si è concentrato sui problemi che l’Europa deve affrontare. “Da qui è nata l’idea che occorra rivitalizzare l’Europa: una missione a cui lavora questo gruppo di personalità di grande qualità che hanno esperienze diverse, un curriculum presso istituzioni nazionali e internazionali e unite dalla convinzione che il salto di una maggiore integrazione e sviluppo europeo si può e si deve fare”.

Perché, “se la storia ci ha consegnato una crisi pandemica ed economica di enorme impatto cui stiamo reagendo nella maniera giusta non dobbiamo dimenticare che la fragilità dell’Europa non è alle nostre spalle. Appena l’avremo superata dovremo affrontare gli straordinari cambiamenti che il mondo ci ha messo di fronte e solo vincendo questa sfida potremo dire che avremo rivitalizzato l’Europa”. Insomma, un mix tra crisi pandemica e le sfide globali da essa imposte e che l’Europa deve fronteggiare.

VECCHI (E NUOVI) ATTORI GLOBALI

Nel merito del libro e della sua struttura, la prima parte della sua analisi è dedicata ad esaminare per un verso le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione europea su produttività, welfare e crescita nonché gli effetti positivi che potrebbero avere migrazioni ben regolate. Per altro verso, ci sono gli effetti della transizione energetica e dei conflitti commerciali in corso per la supremazia tecnologica, in particolare tra Cina e Usa.

“In materia tecnologica”, spiega l’economista, “ci sono due aspetti chiave. Il primo è il mancato aumento della produttività a dispetto dei grandi progressi della tecnologia e dell’aumento degli investimenti in intangibles quali software e intelligenza artificiale. Il secondo è il raccorciamento delle catene del valore collegato ai rischi e alle incertezze di un mondo dominato dalla pandemia. Dobbiamo prendere atto che non ci sono soltanto i grandi del mondo (a cominciare da Cina, Usa e Giappone ) ma nuovi competitors globali come i paesi del sud est asiatico, e le nuove aggregazioni di libero scambio quale la recente (Rcep, l’accordo commerciale con baricentro cinese) tra Asean, Australia, Cina e Giappone”.

EUROPA FABBRICA DEL MONDO

Paganetto affronta anche un altro tema, non certo delicato dei precedenti. L’integrazione tra le diverse aree del mondo, che tende a ridefinirsi con la pandemia. Una sfida dalla quale l’Ue non può tirarsi indietro. “Un’Europa che guardi al Mediterraneo non sarebbe solo un grande vantaggio per il nostro Mezzogiorno ma lo sarebbe anche per le nuove rotte del commercio e per l’adozione di tecnologie cui i Paesi della sponda Sud del potrebbero partecipare, come è facile pensare nel caso delle grandi reti e i collegamenti di energia solare da realizzare nelle aree desertiche del Sahara”. In altre parole, “è con le nuove fabbriche del mondo come quella già realizzata dai Paesi del sud-est asiatico che bisogna confrontarsi. Conta, in questo quadro ,la capacità dell’Europa di puntare su quella leadership tecnologica e capacità d’innovazione , diminuita nel tempo e che, intanto, è diventata il terreno di scontro tra Usa e Cina”.

IL DESTINO DELLE IMPRESE

Nell’analisi di Paganetto non potevano mancare le imprese, vero cuore di ogni ripresa economica. “Oggi è impressionante il divario tra le giovani imprese innovative negli Usa ed in Europa. E il rischio che la Ue possa uscire perdente da questo scontro sta a fondamento del cambiamento di policy in atto nell’Unione con l’idea che bisogna tenere assieme, anche finanziariamente, tutti i Paesi (Italia compresa), per realizzare uno scenario in cui il successo dell’azione su sanità e vaccini faccia sì che la domanda interna continui ad alimentare la crescita. Le scelte europee in materia di economia verde sono importanti non solo per le loro implicazioni per la sostenibilità dello sviluppo ma soprattutto per l’opportunità che esse offrono di utilizzare i processi innovativi che sottintendono. Reti in fibra e 5 G sono decisive per lo sviluppo a ragione dell’effetto trasformativo delle tecnologie sulla maggior parte dei settori dell’economa”.

STATO PADRONE O STATO IMPRENDITORE?

E lo Stato? Anche esso dovrà la sua parte. Paganetto non se ne scorda. “La pandemia sta portando a un aumento del ruolo dello Stato nell’economia che seppure non è da esorcizzare deve essere coniugato con concorrenza e mercato. Non è lo Stato imprenditore che pò risolvere i problemi della crisi economica che stiamo attraversando. Non è l’intervento a salvaguardia della zombie economy che ci può salvare. Nei prossimi anni vivremo l’esperienza Schumpeteriana della distruzione creatrice, vedremo crescere i non performing loans (crediti problematici, ndr) ma non per questo dovremo farci trascinare verso la scelta di un sostegno indiscriminato a chi è in crisi ma dovremo selezionare le imprese in crisi temporanea e capaci di riprendersi dalle altre che non ce la faranno”.

Ma come? “Dovremo, in quest’ottica predisporre nuovi strumenti di sostegno per l’occupazione e per la formazione. Ci sarà un gran bisogno di un nuovo welfare e di formare nuovi skills perché l’intelligenza artificiale sta modificando il quadro delle competenze e l’automazione dei processi produttivi è in marcia da tempo”.

Alla fine però, il punto di caduta è sempre quello. L’Europa. “C’è bisogno di un’Europa che ripensi in questa chiave le sue policies, monetarie e fiscali in modo che esse siano coerenti con la scelta, ormai fatta, di una politica industriale per innovazione e sviluppo sostenibile che si aggiunge alla tutela della concorrenza e del mercato. Questa scelta potrà avere successo se nella revisione della governance europea prevarrà una decisa riduzione del peso dl metodo intergovernativo nei processi decisionali e se verranno trovate le risorse di bilancio necessarie a fornire alla collettività quei beni pubblici di cui si sente tanto la mancanza”.

LA SCELTA (OBBLIGATA) DELL’ITALIA

Il discorso si chiude, ovviamente, con l’Italia. La quale ha poche strade davanti. “Il Paese deve affrontare una nuova fase in cui è necessario affrontare con spirito progettuale le sfide che il mondo prospetta alla’Europa e a noi. Abbiamo avuto sin qui un governo che, al di laàdelle sue benemerenze, non ha trovato le forze e le convergenze che sono necessarie per fare il passo in avanti che è necessario su crescita e produttività non solo attraverso il Next Generation, che ne può rappresentare solo l’innesco, ma soprattutto attraverso la creazione del clima adatto e lo stimolo in materia di competitività e investimenti per il settore privato dell’economia. L’auspicio è che questo clima sia quello che si produrrà nel prossimo futuro”. Tocca a Draghi, insomma.

×

Iscriviti alla newsletter