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Lavori forzati in Cina, il pugno duro della Commissione Ue

La Commissione europea ha presentato una nuova politica commerciale che prevede un forte impegno contro il lavoro forzato. Nel mirino la Cina per la questione Xinjiang. Ghiretti (Iai) spiega perché la mossa è pensata per convincere il Parlamento sul recente accordo tra Bruxelles e Pechino ma…

Ieri il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha presentato la nuova politica commerciale dell’Unione europea “aperta, sostenibile e assertiva” nel contesto degli sforzi dei 27 di raggiungere una “autonomia strategica aperta”. Il numero due dell’esecutivo ha dichiarato che “promuovere il commercio sostenibile significa anche rafforzare la nostra difesa dei diritti dei lavoratori, attraverso lo sviluppo di una legislazione in materia di due diligence, compresa un’azione decisa per combattere il lavoro forzato”. Il titolare del portafoglio Commercio ha poi spiegato che “le imprese europee saranno obbligate a fare una due diligence per assicurarsi che non si stanno procurando merci o servizi che sono prodotti con violazioni ambientali o dei diritti umani sostanziali, cosa che include il lavoro forzato”. E ancora: “Stiamo facendo una valutazione di impatto della possibilità di proibire il collocamento sul mercato europeo, cioè fermare alla frontiera, le merci prodotte con lavoro forzato”.

OBIETTIVO CINA

È stato lo stesso Dombrovskis a chiarire i contorni della svolta quando ha parlato delle relazioni globali alla luce della nuova politica commerciale europea, della “nuova agenda transatlantica per aprire la strada a un reset con l’amministrazione Biden” presentata a dicembre, del fatto che “qualunque sfida Unione europea e Stati Uniti affrontino, non c’è nel mondo alleanza di valori più forte”. Per quanto riguarda la Cina, ha proseguito, “l’obiettivo dell’Unione europea è ristrutturare il nostro partenariato in modo che sia reciproco, equilibrato ed equo”. Il recente accordo sugli investimenti tra Unione europea e Cina (Cai), ha spiegato il numero due della Commissione, “dimostra la nostra disponibilità a creare parità di condizioni, non da ultimo per le società dell’Unione europea in Cina”. Ma, c’è un ma. “Sebbene il Cai possa affrontare molte questioni, non è una panacea per affrontare tutte le sfide presentate dalla Cina. Lavoreremo a stretto contatto con i partner like-minded, compresi gli Stati Uniti, su questioni di interesse come i diritti umani e il lavoro forzato”.

SULLA SCIA DEGLI USA?

L’indicazione di Dombrovskis sembra seguire le mosse statunitensi. Sempre ieri, infatti, la Camera dei rappresentanti di Washington ha reintrodotto un disegno di legge bipartisan che proibirebbe l’importazione di merci dalla regione autonoma cinese dello Xinjiang, a meno di certificazioni atte a dimostrare che non sia stata prodotta con l’ausilio del lavoro forzato. Pure le mosse europee sembrano riguardare l’abuso del lavoro degli uiguri e delle altre minoranze musulmane dello Xinjiang, uno tra i maggiori centri dell’industria del cotone cinese ma anche snodo cruciale della Via della Seta. Infatti, se Bruxelles decidesse di spingersi fino a imporre divieti alle importazioni di merci prodotte con il lavoro forzato, allora è assai realistico ipotizzare che il primo stop possa riguardare proprio le merci prodotte nella regione cinese.

LA PARTITA IN PARLAMENTO

Ma se la politica commerciale indicata da Dombrovskis fosse un tentativo per evitare che il Cai venga respinto dal Parlamento europeo? Dagli europarlamentari, infatti, si sono levati aspre critiche contro l’intesa con Pechino. A preoccupare sono, in particolare, le formulazioni vaghe sull’impegno della Cina a rendere illegale il lavoro forzato. Ecco cosa si legge: “Ogni parte deve fare sforzi continuati e sostenuti di propria iniziativa per perseguire la ratifica delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro numero 29 e 105, se non sono state già ratificate”. Ora diversi membri dell’Eurocamera sospettano che la mossa della Commissione — prevedere due diligence obbligatorie e minacciare stop all’import — sia dettata alla necessità di metterci una toppa.

L’ANALISI DI GHIRETTI (IAI)

Francesca Ghiretti, ricercatrice nell’ambito degli studi sull’Asia presso Istituto Affari Internazionali, ricorda che “poco dopo l’annuncio riguardante il Cai, e in risposta alle numerose critiche che l’hanno accompagnato, la Commissione europea si era premurata di annunciare che la conclusione dell’accordo era solo uno tassello della strategia dell’Unione europea nei confronti della Cina”. L’esperta però nota come “ovviamente quando l’Unione europea parla di strategia è sempre un po’ difficile non alzare un sopracciglio”. Basti pensare alla strategia sulla Cina pubblicata nel 2019: “parlava di un approccio tripartito che vedeva la Cina come partner, competitore economico e rivale sistemico, ma di quest’ultimo elemento non si è visto molto”, spiega. Ecco perché “in questo quadro, il tempismo dell’annuncio della nuova politica commerciale è ottimo e il discorso del Commissario Dombrovskis sembra voler fornire una velata apologia della decisione di concludere il Cai e dimostrare che effettivamente esiste una strategia più ampia che tutela gli interessi, ma soprattutto i valori europei. In tutta onestà, dubito però che questo basti a rassicurare chi il Cai non lo vuole vedere finalizzato e quindi ad assicurarne un indisturbato passaggio al Parlamento europeo”.



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