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Sì allo sblocco dei licenziamenti. Ma col paracadute. Parla Micossi

Il dg di Assonime a Formiche.net: la moratoria è una misura che va bene per l’emergenza, non per la normalità. Il governo lavori a una rete di sicurezza che si apra quando il blocco cadrà definitivamente. Alle imprese serve capitale, in Francia stanno facendo quello che dovremmo fare noi

Non si può pensare di rinviare per tutta la vita il blocco ai licenziamenti. Prima o poi il mercato dovrà tornare sovrano. Ma d’altro canto non si può nemmeno immaginare che dopo mesi di congelamento si torni in un battito di ciglia a una situazione normale, pre-pandemica, magari con una Cassa Covid (la cassa integrazione per l’emergenza virus), non rifinanziata (qui l’intervista sul tema all’ex ministro, Cesare Damiano).

E allora, dice a Formiche.net l’economista e direttore generale di Assonime (l’associazione delle spa), Stefano Micossi, serve un riassetto degli ammortizzatori sociali, per un’uscita meno traumatica possibile dalla fase di moratoria verso il ritorno a condizioni di mercato normali.

Micossi, il prossimo 30 giugno scadrà il termine per la moratoria sui licenziamenti. Le imprese non vogliono shock e chiedono soluzioni ponte. Lei che dice?

La questione è molto delicata e va gestita in modo accorto. Il punto è che non si può togliere il paracadute senza prima avere una nuova rete di sicurezza già pronta. Credo che il premier Draghi sia ben conscio di questo. D’altra parte non si può pensare che il blocco ai licenziamenti continui per sempre.

Perché si tratta di una distorsione del mercato, una condizione artificiale e poco naturale?

Ma certo. La moratoria sui licenziamenti è una forma di congelamento che probabilmente non è più idonea dopo la pandemia. Chiaramente una soluzione si troverà, di concerto con le imprese e con i sindacati, visto che si tratta di un tema estremamente delicato e sensibile. Una soluzione che consenta di passare da un regime eccezionale di blocco a una condizione di fluidità.

Qualche osservatore ha suggerito di mettere mano agli ammortizzatori sociali, avviando una riforma che possa accompagnare l’uscita dal blocco. Potrebbe essere questa una rete di sicurezza secondaria?

Certo che dobbiamo riformare gli ammortizzatori. Noi avevamo intrapreso una strada, quella del jobs act. Di quella strada, la parte legata alla mobilità attiva non era mai stata realizzata. E Draghi ha detto chiaramente nel suo discorso a Camera e Senato, che questa è la via di uscita per chi deve cambiare il lavoro. L’idea della difesa rigida del posto, tramite moratoria, è una misura che può andare bene nell’emergenza ma non nella normalità.

Micossi, con il decreto sostegno il governo si gioca gli ultimi 32 miliardi di deficit, perché altri scostamenti di bilancio saranno oggettivamente difficili da portare a casa. In attesa del Recovery Plan, le imprese saranno in grado di camminare con le proprie gambe?

Guardi, in questo momento stiamo sperimentando un sistema tutto sospeso e non abbiamo la possibilità di valutare la situazione delle imprese, a cominciare dall’indebitamento. Per le imprese più piccole ci sarà molto probabilmente da considerare degli interventi, ai quali noi stessi di Assonime stiamo lavorando. Penso per esempio all’esdebitazione (meccanismo che permette di proporre ai creditori un piano di rientro per cancellare i propri debiti, ndr) che il nostro ordinamento prevede.

E per le imprese più grandi, cosa si può fare invece?

Per le aziende di dimensioni maggiori, non micro, è chiaro che bisogna ragionare sul piano del patrimonio e del suo rafforzamento, anche con equity. Un esempio interessante è arrivato dalla Francia.

Si riferisce ai venti miliardi di euro per rafforzare la patrimonializzazione delle imprese, annunciati dal ministro dell’Economia francese, Le Maire, concessi a mezzo prestiti partecipativi distribuiti dalle banche a cui lo Stato fornirà la sua garanzia?

Esattamente. Mi pare un buon modello, nuovo credito garantito fino al 30% per irrobustire il capitale. Noi abbiamo Patrimonio Destinato, strumento in seno alla Cdp, che però riguarda le imprese sopra i 50 milioni di fatturato. Ma per quelle al di sotto non è previsto nulla. E allora perché non fare nostro il modello francese?

Ultima domanda. Il Recovery Plan di Mario Draghi porta due novità. Una governance in house e riforme da allacciare agli investimenti. La convince?

Sì, ma vede, non sono due novità. Queste cose ce le chiede l’Europa e la stessa Commissione quando fu presentata la prima bozza ci chiese di integrare il tutto con questi due aspetti. Senza di essi il piano non sarebbe stato accettato. Draghi sta semplicemente facendo quello che ha chiesto l’Ue.

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