La Cina lancia il primo modulo della sua nuova stazione e sigla un accordo per una base lunare con la Russia, che intanto annuncia l’uscita dalla Iss. Gli Usa chiamano a raccolta gli alleati su Artemis, e assegnano a Elon Musk il lander per arrivare sulla Luna. E l’Europa che fa? Discute tra Francia e Germania, con scarsi risultati, ma margini importati per l’Italia. L’analisi dell’ingegnere ed esperto aerospaziale
La sovranità tecnologica sottende l’esigenza per un Paese, o per un insieme di Paesi, di adottare una strategia in grado di sostenere un proprio ruolo geopolitico mantenendo un presidio autonomo nelle tecnologie critiche, quelle cioè che si usano per alimentare settori diversificati dell’economia, dal digitale al farmaceutico, dall’aerospaziale all’agroalimentare. Però, nel settore spaziale, al di là di dichiarazioni di facciata, l’Unione Europea non sembra riuscire a tenere il passo con i maggiori player mondiali, statunitensi e cinesi.
Più volte abbiamo riportato dichiarazioni di esponenti politici francesi sulla necessità di sostenere una politica spaziale tecnologicamente sovrana, in grado cioè di garantire la padronanza delle infrastrutture satellitari e un accesso autonomo all’orbita. Questa legittima visione è sostenuta con vigore dalla Francia, Paese che sin dal dopoguerra è stato il motore delle attività spaziali del continente. Sono di fatto francesi sia la base di lancio della Guyana – denominata spazioporto europeo, ma presidiata dalle forze armate di Parigi – e sia l’azionariato di maggioranza delle principali industrie aerospaziali europee. Da anni però, la Germania sta sostenendo nuove aziende aerospaziali che stanno progettando satelliti e razzi innovativi da lanciare da poligoni in corso di realizzazione in Nord Europa.
Dieci anni fa, dopo la pubblicazione del Libro Bianco sulla strategia spaziale tedesca, l’allora ministro francese della Ricerca Valérie Pécresse disse che Berlino “aveva messo Parigi con le spalle al muro”. Da anni quindi, l’Italia si confronta con una vera e propria conflittualità “spaziale” tra Francia e Germania, dove occorrerebbe evitare subalternità e, ove possibile, perseguire una cooperazione tattica a geometria variabile.
Oggi, le scelte politiche nazionali per le nuove rotte strategiche su cui l’Europa franco-tedesca sta confliggendo – la criticità sui lanciatori ne è solo un esempio – dovrebbero essere ponderate con sapienza e conoscenza, per posizionare le filiere industriali nelle progettualità a migliore prospettiva. Che non necessariamente potrebbero essere tutte europee. Ovvio, che occorra essere ai tavoli di strategia bilaterali con Parigi e Berlino (qui l’articolo di Formiche.net) anche se nessuno sembra chiedersi perché bisogna ricorrere a questi consessi ristretti quando esiste un ente come l’Esa che sarebbe deputato proprio a questo.
E proprio la consapevolezza di questa particolarità tutta europea, dovrebbe rafforzare nel nostro Paese l’importanza di riaffermare un principio di autonomia strategica nazionale per perseguire traiettorie complementari e funzionali a quelle europee. La firma nel 2020 da parte dell’Italia degli Artemis Accords con la Nasa è stata un passo importante in questa direzione. L’Esa non ha ancora siglato questi accordi. Né la Francia, la quale ultimamente ha rilanciatola cooperazione spaziale con la Cina, nel tipico solco del proprio multilateralismo geopolitico.
Il punto è che la situazione globale è in piena evoluzione: Russia e Cina siglano un accordo per una missione congiunta sulla Luna; Mosca dichiara di voler uscire dalla Stazione spaziale internazionale; Pechino ha appena lanciato il primo modulo abitativo della sua nuova stazione spaziale Tiangong, che dovrebbe diventare operativa dal prossimo anno; la Nasa ha appalto la realizzazione del lander lunare alla SpaceX di Elon Musk lasciando sempre di più campo libero all’imprenditoria privata. Insomma, ci sono evidenti segnali di un riposizionamento strategico globale in cui l’esplorazione dello spazio, al pari di altre problematiche terrestri come per esempio il 5G, porterà le nazioni, in primis Stati Uniti e Cina, su un terreno di confronto sempre più acceso, in cui proprio la sovranità tecnologica sarà elemento vitale.
In questo quadro, Washington sta definendo lo schieramento alleato e così l’adesione italiana ad Artemis rappresenta un’evidente scelta di campo geopolitica. Oggi, sembra molto improbabile una cooperazione spaziale tra Usa e Cina, eppure in prospettiva potrebbe rappresentare un elemento di distensione come lo fu la Iss negli anni Novanta tra russi e americani. E proprio la storia della partecipazione italiana alla stazione spaziale è una lezione quanto mai attuale. Infatti, l’Italia ha avuto un ruolo importante nella Iss, non solo grazie al programma Esa, a cui il nostro Paese aderì per il 19% del costo totale, quanto soprattutto in virtù di un accordo bilaterale siglato da Asi con la Nasa nel 1997. Fu grazie a questo che l’industria nazionale realizzò tre moduli logistici forniti direttamente all’ente spaziale americano, e acquisì parte dei diritti di utilizzo delle risorse della Nasa per fare esperimenti e ricerca, inclusa la possibilità di inviare i propri astronauti sulla stazione.
In questo momento storico, quindi, il nostro Paese potrebbe perseguire un percorso similare con un ruolo attivo per una convergenza euro-atlantica probabilmente necessaria per ambedue i blocchi continentali vis-a-vis del confronto con Russia e Cina. Ciò potrebbe accadere se non ci si focalizzasse unicamente – cioè allocando tutte le risorse – su programmi europei dove la conflittualità tra Francia e Germania potrebbe rivelarsi più acuta del previsto. Come rivelato pochi giorni fa dal quotidiano francese La Tribune, dietro le quinte si stanno manifestando forti contrasti tra i maggiori attori istituzionali (Ue, Es e Stati membri). Il ministero tedesco dell’Economia ha inviato alla Commissione europea un documento ufficiale in cui si ribadisce la posizione contraria di Berlino sulla strategia che Bruxelles e Parigi vorrebbero attuare nei programmi spaziali, e in particolare nei lanciatori.
La Germania contesterebbe la leadership strategica che la Commissione europea vuole assumere, e sosterebbe una strategia diversa da quella di Parigi per il settore dei lanciatori. Nel documento del ministero tedesco si dice che “l’approccio della Commissione europea sembra non solo trascurare i principi consolidati nel processo decisionale e strategico a livello europeo, ma contraddice anche l’efficace distribuzione dei ruoli e delle responsabilità, in particolare il ruolo essenziale che l’Esa gioca nel settore spaziale europeo”. Secondo il quotidiano di Parigi, Berlino vorrebbe limitare la Commissione a un ruolo di utilizzatore dei servizi di lancio di Ariane 6, e nulla di più. E questo si comprende bene alla luce dell’attivismo dell’industria tedesca nella progettazione di nuovi razzi vettori oggi definiti “micro-lanciatori”, ma suscettibili di evoluzioni tali da porli in prospettiva in concorrenza con il vettore Ariane. E il punto per il nostro Paese è che prima ancora di arrivare a competere con quest’ultimo, lo faranno con il Vega di fabbricazione italiana.