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L’Italia guida il dibattito sulla Libia. Dal G7 al contesto regionale

L’Italia offre alla Libia il piano internazionale (elevando la situazione del nuovo governo a interesse diplomatico in contesti come il G7) e regionale, muovendosi costantemente con i Paesi che sono geograficamente vicini a Tripoli e compongono un intero areale iperconnesso

Se durante incontri come il G7 si dà peso e slancio al sostegno politico internazionale al Governo di unità nazionale libico (GNU), è il contesto regionale che fa da carburante alla macchina che il primo ministro Abdelhamid Dabaiba sta guidando (con l’Onu come co-pilota).

L’Italia, membro del Gruppo dei Sette ma anche sponda nord della Libia appena oltre il Mediterraneo, sta cercando di costruire un’azione totale, complessiva. Un ruolo da attore centrale nel processo di stabilizzazione muovendosi su entrambi i piani: dal globale al locale. Dalle interlocuzioni con Washington o Londra alla riapertura del consolato nel Fezzan.

Mentre alla Lancaster House il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, portava le sette grandi potenze economiche a porre massima attenzione alla fase libica in corso (a mezzogiorno di martedì 4 maggio c’è stata una sessione dedicata), il presidente del Consiglio, Mario Draghi, affrontava la questione in cima a quelle trattate con Abdelmajid Tebboune, il presidente algerino.

Le situazioni regionali più critiche, dal Maghreb al Sahel, sono state al centro della conversazione italo-algerina. Preoccupazioni comuni, con la Libia che anche in questo caso è test e paradigma. L’esempio: mentre a Tripoli si consolida il GNU infatti, non senza qualche tensione, la fascia meridionale è in contatto osmotico con il Ciad.

La crisi di sicurezza che ha portato all’uccisione del presidente ciadiano da parete dei ribelli Fact che si basano nel Fezzan è l’esempio di come certe questioni siano potenzialmente tutte collegabili. Link che si creano sfruttando confini regionali laschi, una bio-geografia particolare, il contesto geomorfologico favorevole alla dispersione.

Anche per questo, l’attività di sostegno che l’Italia e gli altri Grandi devono fornire ai Paesi della regione — Algeria, Tunisia, Egitto, Marocco, e poi quelli del Sahel — diventa cruciale. Per la Libia nello specifico, ma soprattutto per l’intero aerale. Tra i più turbolenti, ma anche ricco di potenzialità (si pensi al ruolo che certi paesi occupano nel mondo dell’energia, attuale e del futuro).

“Noi siamo convinti che la comunità internazionale debba sostenere ed incoraggiare, e che gli attori regionali possano svolgere in tal senso un ruolo costruttivo, a cominciare dai paesi realmente vicini della Libia, cioè quelli che condividono un confine geografico”, aveva spiegato a Formiche.net l’ambasciatore Pasquale Ferrara appena nominato inviato speciale della Farnesina per la Libia — ruolo che occupa dopo aver lasciato la guida dell’ambasciata italiana di Algeri.

Di queste capacità Roma è portatrice, interlocutrice e motrice. Una dimensione in cui altri Paesi incontrano più complessità a muoversi. Pensare per esempio ai grandi attori libici e mediterranei come la Turchia, che ha connessioni regionali tra Sahel e Maghreb, ma non fa parte dell’allineamento delle potenze globali.

Oppure la Francia, che potrebbe vantare entrambi i piani se non fosse che sulla Libia soffre l’aver scommesso sull’uso di un’ambiguità (Tripolitania, via Onu; Cirenaica, per interessi nazionali) che Parigi non è stata in grado di portare avanti bene. Difficoltà a cui si aggiunge adesso l’uccisione del presidente ciadiano, ossia del principale alleato della missione con cui la Francia intende stabilizzare la Françafrique saheliana. Immagine cruda di certe complicazioni.



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