Le dinamiche libiche sono molto influenzate da — e influenzano a loro volta — quelle regionali: per questo c’è il rischio che il conflitto israelo-palestinese trovi sfogo tra Tripoli e Bengasi. Un esempio: la Central Bank
Possibile che il conflitto israelo-palestinese allunghi le sue onde sismiche fino alla Libia? Il rischio esiste, sebbene il processo di stabilizzazione innescato attorno al governo di unità che Abdelhamid Dabaiba guida (sotto egida Onu) è serio, concreto. Alla base di quel rischio c’è un presupposto: la stabilità libica – su cui Dabaiba è la componente di innesco, ma che avrà completezza con le elezioni democratiche di dicembre – è collegata a un quadro che si avvia(va) verso una generale acquiescenza regionale. Quadro e acquiescenza di cui la Libia è in contemporanea causa e conseguenza, come lo è stato degli scontri proxy che ne hanno caratterizzato gli ultimi anni, e con gli scontri in corso rischia di alterarsi.
Mentre Ankara propone alla Palestina un accordo marittimo, simile a quello chiuso con il precedente governo onusiano libico guidato da Fayez al Serraj, così da elevarne la leverage internazionale, val la pena ricordare che Saddam Haftar – figlio del signore della guerra di Bengasi, Khalifa Haftar – a inizio aprile aveva incontrato alti funzionari dell’intelligence israeliana. L’idea alla base di quel meeting sarebbe quella di coltivare un candidato politico in grado di portare la Libia nel quadro degli stati arabi che riconoscono lo Stato ebraico. Ossia il club degli Accordi di Abramo.
Quell’intesa, prodotto diplomatico forte dell’amministrazione Trump, è anche alla base di una posizione diversa sugli scontri israelo-palestinesi tra Turchia ed Emirati Arabi Uniti – gli stessi paesi che per lunghi mesi si sono combattuti sui fronti di Tripolitania e Cirenaica fino a non più di un anno fa. Ankara ha preso le difese della Palestina, anche come mossa per proiettare la propria politica internazionale (in un modo non dissimile da quanto successo con Tripoli a fine 2019); Abu Dhabi, incastrata nella normalizzazione con Israele, è bloccata, ferma nei confronti della causa palestinese anche perché perorata dal fronte (Turchia più Qatar) di coloro che seguono l’Islam politico ispirato dalla Fratellanza musulmana contro i protettori dello status quo (Riad e Abu Dhabi, appunto).
Il rischio ripercussioni in Libia diventa allora concreto, stante terreni comuni e faglie profonde. Difficile che si vedranno opposizioni esplicite però, anche perché il processo libico è protetto dalle Nazioni Unite e soprattutto dagli Stati Uniti, che hanno rivolto maggiore attenzioni al dossier inserendolo in un quadro regionale dove le varie tessere – anche quelle con i bordi più sghembi, come la Libia – devono incastrarsi alla perfezione per garantire stabilità e possibilità di disimpegno. L’effetto allora potrebbero innescarsi nei fascicoli interni che riguardano il governo Dabaiba. Tra questi, il quadro economico è il più delicato.
Quadro che passa dal confronto politico per la complessa approvazione del bilancio o dalle nomine nelle grande strutture come il fondo sovrano LIA, la Central Bank of Libya (CBL) o la petrolifera NOC. La Banca centrale ha per esempio un chariman, Seddik al Kabir, in carica da troppi anni per non subire critiche interne riguardo a una possibile sostituzione, fattore di forza e debolezza assieme. Di più: al Kabir è molto vicino alla Turchia (come Dabaiba, che non lo disprezza nel ruolo) e questo innesca contro di lui le critiche del fronte opposto – che con quelle vicende regionali rischia di riscaldarsi.
Il 28 aprile il nome di al Kabir non è stato inserito tra quelli che il parlamento HoR di Tobruk ha inserito per la successione: la lista è stata inviata all’Alto Consiglio di Stato, che l’ha subito bloccata – le due assise rappresentano posizioni più pro-Cirenaica e e pro-Tripolitania e si portano dietro il peso internazionale dietro ai due blocchi. Senza sottovalutare che al Kabir gode di ottima considerazione da parte del Tesoro statunitense, la guida della Banca rischia di diventare oggetto di faide. Con l’innescarsi di fronti di sfogo della situazione israelo-palestinese sulla Libia che potrebbe riguardare nomine come quella alla Central Bank, e l’intero processo di stabilizzazione che potrebbe risentirne.
Il tema profondo, come sottolineato dal ministro degli Affari economici Salama al-Ghwail ad al Monitor, è cancellare decenni di divisioni nelle istituzioni dello stato, riunificarle e procedere “verso il futuro” – per dirla come Dabaiba durante l’incontro con Mario Draghi. La CBL – che oltre a essere una banca centrale svolge anche il ruolo di veicolo di investimento – è il sistema linfatico del processo Dabaiba. Unificare la struttura dell’Ovest con quella dell’Est è un passaggio necessario: non si può raggiungere dicembre, il voto, con le due entità diviene. Da un punto di vista economicistico, per far ripartire il paese serve sfamare il popolo e costruire un’infrastruttura generale funzionale. Ma prima di tutto questo serve stabilità, mentre il rischio che scossoni dal Levante alterino e intralcino il percorso avviato è concreto.