Il cessate il fuoco che (si spera) arriverà nelle prossime ore è un passaggio cruciale non solo per il conflitto in sé, ma anche perché si rischia l’allargamento dello scontro a tutta la regione, con il sovrapporsi delle questioni già in corso
Nelle prossime ore tra Israele e Hamas potrebbe esserci un cessate il fuoco: la notizia è circolata dalla serata di mercoledì 19 attraverso fonti dei media israeliani poi confermate anche dai rappresentanti dei gruppi palestinesi. È un passaggio importante quanto necessario, raggiunto anche grazie alla forte pressione americana e all’impegno di attori regionali come l’Egitto.
Il presidente Joe Biden, sotto la spinta dell’ala più a sinistra del Partito Democratico (che riceve consensi soprattutto dalle fasce demografiche più giovani), ha aumentato il proprio coinvolgimento nella crisi che si è innescata. Gli attacchi contro i civili sono un elemento certamente inaccettabile da entrambi i fronti, e su questo quel coinvolgimento si è abbinato al forte impegno diplomatico messo in campo dalle Nazioni Unite.
La Francia infatti sta preparando una risoluzione per muoversi di anticipo rispetto a un’eventuale ulteriore escalation rappresentata da un’invasione terrestre. Dinamica che avrebbe rischiato di portare scombussolamento all’interno dell’intero bacino mediorientale – che invece sembra allinearsi verso una traiettoria di apertura e dialogo.
Il lancio di razzi e missili dei gruppi palestinesi dal Libano e dalla Siria è la testimonianza di come il conflitto possa allargarsi con facilità – con Hamas che trova sponda tra i vari gruppi sciiti filo-iraniani nemici dello stato ebraico. Il cessate il fuoco è propedeutico a evitare questo genere di inneschi, e allo stesso tempo chiama alla necessità di una riflessione profonda sulla sistemazione della questione israelo-palestinese.
Riportare il percorso sul dialogo politico dà modo di rafforzare la componente più moderata dei palestinesi, con cui Hamas è in lotta. Di più, il quadro regionale: il Medio Oriente resta in una posizione di equilibrio delicato, sensibile agli scossoni sismici prodotti da questo genere di escalation in conflitti profondi come quello che riguarda Israele. Sovrapposizione potenzialmente rischiosissima con altre crisi, come quella libica, con rischio di incendiare le separazioni di cui il mondo arabo si compone: da un lato Turchia e Qatar, dall’altro il blocco del Golfo.
Stati Uniti e Europa sono per forza chiamate a portare verso la stabilizzazione regionale e alla soluzione di certe crisi attraverso il dialogo politico. Allo stesso tempo, un ruolo centrale ce l’hanno i Paesi della regione. Importante notare allora come nel caso s’è mosso l’Egitto. Il Cairo ha tenuto insieme i fronti attraverso il lavoro dell’intelligence, perché non ha mai perso il contatto con i palestinesi, pur riposizionandosi in un rapporto più positivo con Israele. Questo ci racconta di un Egitto che sta anche in questo caso – come con il contribuito alla nascita del governo unitario in Libia – muovendosi da attore interessato alla stabilizzazione nell’area Medio Oriente e Nord Africa.