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L’era delle pandemie riapre la questione vaccini e brevetti. Usiamo il buon senso

global health summit

Tra apologia dell’esproprio e ode alla proprietà privata, c’è una terza via. Quella che avrebbe dovuto e potuto guidare le posizioni degli esperti sulla vicenda brevetti. Il tema sollevato da Draghi e Von der Leyen al Global Health Summit era stato affrontato dalla nuova rivista Healthcare Policy

“In molte altre aree del mondo la pandemia non accenna a diminuire. E le differenze nei tassi di vaccinazione sono sconvolgenti. Dobbiamo assicurarci che i vaccini siano più accessibili ai Paesi più poveri”. È così che il presidente del Consiglio Mario Draghi, in compagnia della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha aperto il Global health summit, ospitato quest’anno dall’Italia, in quella che gli scienziati hanno ufficialmente definito “l’era delle pandemie”. Per combatterla, secondo Draghi, sarebbe auspicabile “revocare i divieti generalizzati di esportazione, soprattutto nei Paesi più poveri e “introdurre una sospensione dei brevetti sui vaccini Covid-19″. Riaprendo così il dibattito sui brevetti che ormai da mesi, seppure a intervalli regolari, si riaccende nel tentativo di trovare una soluzione che faciliti l’accesso ai vaccini ma che al contempo non danneggi l’industria farmaceutica.

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Articolo apparso su Healthcare Policy

Ha colpito chiunque, la scelta dell’amministrazione Biden di sostenere la sospensione dei brevetti sui vaccini contro il Covid. La decisione è arrivata come un fulmine a ciel sereno, riaprendo quella partita sui brevetti che la pandemia, e la corsa al vaccino, avevano già riportato in auge. Ma senza fare vincitori. Gli schieramenti, infatti, estremisticamente ed egoisticamente polarizzati, senza alcun barlume di equilibrato, ma soprattutto virtuoso moderatismo, hanno impedito qualunque passo avanti. Ignari che forse a volte solo un sano compromesso può non fare vinti, ma solo vincitori.

Ma tra apologia dell’esproprio e ode alla proprietà privata, c’è di mezzo il buon senso. Quello stesso buon senso che avrebbe dovuto e potuto guidare le posizioni degli esperti sulla vicenda brevetti e che invece oggi appare lontano anni luce. Un infecondo inno all’estremismo, che si traduce da un lato in una tendenza quasi bolscevica, incapace di considerare le azioni in quanto genitrici di conseguenze, dall’altro in una propensione ultraliberista, scevra da ogni senso di responsabilità quando non di umanità. Ebbene, tra queste giace una terza via. Quella in cui è il fine a definire i mezzi e non il contrario. E dove il fine altro non è che sconfiggere la pandemia.

Ignorare i successi scientifici resi possibili dalla ricerca, spinta dai brevetti come primo strumento a tutela degli investimenti, vuol dire mostrarsi ciechi dinanzi all’evidenza. Altrettanto lo è mancare quel salto culturale che il pharma può e deve fare, assumendo con coraggio, onestà e fierezza la responsabilità del ruolo sociale che ricopre, evitando che questo o quel governo spezzino quel braccio senza il quale la lotta alla pandemia non potrà che rivelarsi persa.

L’incapacità politica di comprendere l’urgenza di accordi che garantiscano una produzione più diffusa e veloce, piuttosto che operazioni di corporate social responsibility rischia di rivelarsi un costo troppo alto da pagare. Così come lo sarebbero la destrutturazione o l’abolizione dei brevetti, che finirebbero per inibire gran parte dei futuri investimenti del comparto. Accettando dunque di buon grado che durante la prossima pandemia nessuno parteciperà alla corsa al vaccino, perché nessuna azienda profit ha ragione di correre (solo) per la gloria.

Pensare che la ricerca possa essere condotta interamente dal pubblico vuol dire mancare di contezza, rifiutando il ruolo (da protagonista) rivestito dal privato. E beffarlo doppiamente, quello stesso privato, qualora gli si chieda di intervenire laddove il pubblico non è in grado di fare. Esattamente quella stessa contezza che manca al pharma quando, visto seppur ingiustamente come il lupo nero, non accetta di dismettere la maschera da cattivo, accettando qualche compromesso, per mera questione di principio.

Anche in questo caso la verità sta nel mezzo. Così come nel mezzo potrebbe stare la soluzione di questa diatriba – e quindi di questa pandemia. Se stare nel mezzo non sempre giova, in questo caso potrebbe fare la differenza. Gli estremismi, fino ad oggi, non ci hanno portato da nessuna parte. Speriamo che governanti e governati se ne rendano conto. Abbiamo già perso oltre tre milioni di persone. Facciamo in modo che non aumentino ancora. O quantomeno non per colpa nostra.



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