Intervista a Benedetta Berti, capo della Pianificazione politica dell’ufficio del Segretario generale della Nato, sul futuro dell’Alleanza Atlantica dopo le decisioni prese al vertice di Bruxelles, dal potenziamento delle capacità di deterrenza a un approccio più globale per una Nato più forte e resiliente
“Il vertice è stato un momento importante che ha segnalato un forte rinnovamento e rafforzamento della Nato, con il raggiungimento di un accordo sull’agenda Nato2030”. Parola del capo della Pianificazione politica dell’ufficio del Segretario generale della Nato, Benedetta Berti, che è stata anche tra i protagonisti dell’evento “Rebuilding the consensus for a new era” organizzato dalla Nato Defense College Foundation, intervistata da Formiche.net per fare il punto sul futuro dell’Alleanza Atlantica alla luce del summit di Bruxelles del 14 giugno scorso.
Che bilancio si può trarre dal vertice dei capi di Stato e di governo della Nato della settimana scorsa?
Il vertice Nato di lunedì scorso è stato molto positivo dal punto di vista politico: è stata una forte dimostrazione della presenza e dell’impegno degli Stati Uniti nei confronti dell’Alleanza Atlantica, reciprocato dall’analogo impegno degli Alleati europei. Il vertice è stato anche un momento importante che ha segnalato un forte rinnovamento e rafforzamento della Nato, con il raggiungimento di un accordo sull’agenda Nato2030. Sono state prese decisioni concrete con l’obiettivo non solo di potenziare la dimensione politica e militare dell’Alleanza, ma anche per rendere la Nato in grado di affrontare le sfide globali del domani, dal cambiamento climatico alle sfide cibernetiche.
Quali sono, adesso, le priorità dell’Alleanza dopo il via libera all’agenda Nato2030?
L’agenda Nato2030 include otto aree di lavoro, che saranno via via implementate nel corso dei prossimi anni: rafforzare la difesa collettiva, migliorare la resilienza, promuovere la cooperazione tecnologica, preservare l’ordine internazionale basato sulle regole, fornire formazione e supporto ai partner, mitigare l’impatto del cambiamento climatico e sviluppare il prossimo concetto strategico dell’Alleanza. Inoltre, c’è stato un rinnovato impegno da parte degli alleati a utilizzare la Nato come piattaforma principale per discutere di tutte le questioni che hanno a che fare con la sicurezza collettiva transatlantica, comprese quelle di natura economica come il controllo sulle esportazioni o l’introduzione di tecnologie strategiche. Questo è il segnale che la Nato vuole avere un ruolo più attivo anche nel coordinare le risposte non-militari alle sfide di sicurezza, soprattutto nelle aree delle cosiddette “minacce ibride”.
Nonostante il riavvicinamento tra le due sponde dell’Atlantico, permangono in Europa alcune divergenze tra i Paesi alleati. Il summit ha cambiato le cose?
Il vertice è stato un’ottima base di lavoro, perché da tutti gli alleati è partito con forza il messaggio della volontà di rafforzare la dimensione politica della Nato e lavorare di più sulla resilienza collettiva. È emersa anche la volontà di lanciare un nuovo centro sull’innovazione tecnologica, di potenziare la relazione con i partner nella difesa dell’ordine internazionale e anche di lanciare una nuova agenda che affronti gli impatti del cambiamento climatico. Tutto questo sottolinea le molte aree di convergenza che legano gli alleati, convergenze che superano le divergenze. Ovviamente, un’alleanza di trenta Paesi non avrà mai una mancanza di tematiche dove ci saranno delle differenze nazionali. Questo è avvenuto per tutti e 72 gli anni di esistenza dell’alleanza. Tra le tematiche più importanti delle nuove sfide di cui la Nato si sta occupando, dove ci sono delle differenze di opinione tra i vari alleati, è sicuramente l’approccio con la Cina. Però è importante ricordare che, proprio sulla Cina, alla fine gli alleati si sono accordati su una posizione comune, nella quale la Nato nel suo insieme ha ribadito di non vedere la Repubblica Popolare come un avversario, lasciando aperta la possibilità di collaborare con Pechino in base ai diversi interessi. Allo stesso tempo, tuttavia, gli alleati sono d’accordo nel dire che l’ascesa globale della Cina presenta un fattore di rischio per la sicurezza transatlantica che dovrà essere affrontato insieme. Dunque, la Nato sta andando sempre di più verso una convergenza di approccio, quanto meno quando si tratta dell’aspetto della sicurezza, che è ciò di cui, in ultima analisi, si occupa la Nato.
L’incontro a Ginevra tra Biden e Putin è stato visto come il primo passo verso una ripresa dei rapporti. In futuro è ipotizzabile un cambiamento di focus da parte della Nato con un’attenzione maggiore verso la Cina, per esempio, rispetto alla Russia?
No, sicuramente non c’è, da parte della Nato, una minore attenzione quando si tratta di monitorare e rispondere alle azioni della Federazione russa. La posizione degli alleati rimane chiarissima, soprattutto dopo le azioni di Mosca nel 2014 con l’annessione della Crimea. La posizione della Nato rimane la stessa: “no business as usual”, cioè non ritornare alle relazioni precedenti fino a che le azioni di Mosca non cambieranno tornando in linea con il diritto internazionale. Detto questo, rimane aperta la politica della Nato del “dual trak”, quindi essere aperti al dialogo ma allo stesso tempo continuare a rafforzare la nostra capacità di deterrenza. Questa è la caratteristica principale del rapporto con la Russia in questo momento, perché la Nato vede le azioni russe come profondamente destabilizzanti per l’aera euro-atlantica. Questa è un’impostazione profondamente diversa rispetto all’approccio della Nato all’ascesa cinese nello scenario internazionale, approccio che non vede in Pechino un avversario e che mantiene aperta la possibilità di collaborare con la Cina. La Nato non si sta preparando per un confronto con nessuno, ma allo stesso tempo non può ignorare il fatto che ci sono delle sfide e dei rischi legati all’ascesa cinese, per esempio rispetto a certe politiche che indeboliscono il sistema internazionale basato sullo stato di diritto o in materia di capacità ibride e cyber. Dobbiamo capire quali sono i rischi e lavorare insieme per capire come rispondere a questi rischi, ma non c’è sicuramente uno scenario in cui la Nato può permettersi di non fare attenzione alla minaccia russa. In altre parole, la Nato rimane un’alleanza che è pronta a rispondere a qualsiasi tipo di sfida alla nostra sicurezza a 360°.
Al vertice Nato si è trattato meno delle questioni riguardanti il fronte sud dell’Alleanza, tema importante per l’Italia e non solo. Questo cambierà il coinvolgimento della Nato nel Mediterraneo?
Dal punto di vista politico c’è stato sicuramente un riaffermare l’importanza del nostro vicinato, anche sud, e il continuo impegno da parte della Nato di lavorare nell’antiterrorismo. Dal punto di vista pratico, poi, una delle decisioni chiave dell’agenda Nato2030 ha riguardato il rafforzare la capacità dell’Alleanza di fare training e capacity building. C’è, inoltre, la decisione chiara emersa dall’agenda Nato2030 di lavorare sul potenziamento delle capacità di sicurezza dei nostri partner nel vicinato, includo nelle aree strategiche dell’antiterrorismo e delle operazioni di stabilizzazione. Questa è una decisione che ha a che fare anche con il vicinato sud ed è sicuramente importante perché l’Alleanza, dopo due decadi di esperienza maturata negli impegni fuori area, ha realizzato che una delle modalità più efficaci, e anche più sostenibili, per contribuire alla stabilità di una regione e per combattere il terrorismo è quella di lavorare per rafforzare le capacità dei nostri vicini. La sfera sud, quindi, vedrà una Nato più attiva e impegnata per fare in modo che i nostri partner regionali possano avere le capacità per affrontare con sicurezza le eventuali minacce.
Uno dei punti in agenda è stato il rafforzamento delle partnership internazionali con i Paesi “like-minded” anche fuori dallo spazio euro-atlantico: è l’avvio di una Nato più globale?
Sicuramente c’è la volontà di avere una Nato con un approccio più globale, ma questo non vuol dire che l’Alleanza voglia cambiare il proprio mandato, che rimane la difesa e la sicurezza dell’area euro-atlantica. La Nato, insomma, rimane una alleanza di sicurezza regionale, però cambia un po’ la prospettiva, che diventa più ampia. L’Alleanza sa che le sfide di sicurezza sono sempre più globali e che per poterle fronteggiare in maniera adeguata ha bisogno sempre di più di lavorare insieme con i partner al di fuori della Nato. Concretamente, questo porterà a rafforzare il dialogo politico e la cooperazione pratica con l’Unione europea, ma anche con i nostri partner dell’area dell’Indo-Pacifico, a cominciare dal Giappone, la Corea del sud, l’Australia e la Nuova Zelanda. Ci saranno degli step pratici per rafforzare il nostro rapporto con questi Paesi, anche nel contesto di uno sforzo più sostanziale alla difesa dell’ordine internazionale. Ci sarà un rafforzamento delle attività di cooperazione pratica anche con i Paesi che aspirano a diventare membri della Nato, come l’Ucraina e la Georgia. Infine, la Nato lavorerà sempre di più con quei Paesi detti appunto “like-minded” che condividono i valori e hanno l’interesse nel mantenere l’ordine internazionale. Tutto questo non stravolgerà il mandato della Nato, piuttosto si tratterà di rafforzare le partnership politiche con Paesi che si trovano al di fuori dell’area transatlantica che possono avere un ruolo positivo per la sicurezza comune. Connesso con questo impegno, la Nato lavorerà nel prossimo anno anche per cercare di creare nuove collaborazioni con Paesi terzi con cui si condividono alcuni interessi comuni in certe aree di sicurezza, come per esempio con l’India. Quindi una Nato che vuole lavorare anche oltre quello che è il suo network classico di collaborazioni, allargando le partnership internazionali.