Dopo settimane di stallo, riprendono i negoziati per trovare uno sposo per Mps, prima che il governo sia costretto a chiedere all’Europa un rinvio della scadenza per il proprio disimpegno. Il Tesoro prova a giocare le sue carte per dare una spallata. Possibile proroga delle Dta e un documento che ha il sapore di una proposta finale…
Ci volevano i giorni torridi dell’estate per far tornare a muovere, lentamente, le pedine del risiko bancario italiano. I giocatori sono sempre gli stessi: Banco-Bpm, Bper, Unicredit. In palio, la banca più antica del mondo, Mps, arbitro il Tesoro, azionista al 64% di quest’ultima e obbligato, complici i patti stretti con l’Ue, a uscire una volta per tutte dal capitale di Siena e restituire le chiavi al mercato o a un nuovo inquilino.
La prima scadenza importante è vicina, entro settembre lo Stato dovrà comunicare all’Europa l’eventuale sussistenza di condizioni per dare in sposa Mps a qualche partner di peso, con conseguente disimpegno pubblico. In caso contrario, occorrerà per forze di cose chiedere un rinvio della scadenza, fissata a metà 2022.
Ipotesi per nulla remota, dato che al momento tutto tace, nonostante la possibilità di beneficiare di incentivi fiscali, le famose Dta, per oltre 2,2 miliardi, in caso di affare. Per usufruirne c’è tempo fino al 31 dicembre, con la sola delibera del board, senza dunque il passaggio supplementare in assemblea. Eppure non basta, non ancora almeno, a smuovere gli animi. Così il Tesoro ha deciso di prendere il toro per le corna e dare una nuova scossa.
Come raccontano fonti vicine al dossier a Formiche.net, un primo incoraggiamento potrebbe arrivare da una proroga delle Dta (già estese a fine anno dal decreto Sostegni-bis), al fine di concedere più tempo alle banche per usufruire dei vantaggi fiscali previsti. Ma non è tutto. In mezzo c’è anche la pubblicazione, il prossimo 31 luglio, degli stress test voluti dalla vigilanza europea per saggiare la solidità degli istituti. Risultati che potrebbero imprimere o meno un’accelerazione al riassetto. Infine, c’è da capire come e in che modo Mps verrà salvata (c’è sempre la necessità di un aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro entro aprile 2022, in mancanza di una fusione). Nelle stanze del Mef non è affatto escluso lo scorporo delle attività in difficoltà da quelle in salute, mediante la creazione di una bad bank.
Ora la domanda è, chi sarà lo sposo di Mps? E il Tesoro ha un piano B? Secondo quanto riportato da Reuters, a via XX Settembre sono ancora convinti che Unicredit sia la sposa che il Mef ha sempre sognato per Rocca Salimbeni. Secondo l’agenzia di stampa, il Tesoro nell’immediato non lavora a soluzioni alternative, anche se sarebbe aperto a valutare la cessione di asset di Mps, lo spezzatino per intendersi, per facilitare la vendita a un partner strategico come Unicredit. Insomma, anche se l’ultima parola sul destino di Mps spetta al premier Mario Draghi, i negoziati tra le parti continuano.
Ed ecco il secondo asso del Tesoro. La prossima settimana, ha scritto MF-Milano Finanza, il ministro Daniele Franco dovrebbe presentare alle banche oggetto del risiko una sorta di documento finale, riepilogativo dell’operazione Mps. Un testo, contenente oneri e onori del venditore e del compratore, anche per mettere un po’ di pressione agli stessi istituti. Il documento conterrebbe gli elementi cardine per sbloccare il deal: minimizzazione-sterilizzazione dei rischi legali, ulteriore pulizia dell’attivo con dismissione di crediti deteriorati, valorizzazione delle Dta e copertura dei costi di ristrutturazione. Se anche questo tentativo non dovesse andare a buon fine, allora Roma dovrà con ogni probabilità chiedere un rinvio all’Ue.