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Clima, la ricetta di Realacci (Symbola) per passare ai fatti

Tra il catastrofismo e il menefreghismo climatico serve una via di mezzo, spiega Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola. L’ultimo rapporto Onu sul clima ci deve spingere ad attuare le dovute politiche economiche quanto prima, sfruttando e promuovendo i settori in cui l’Italia è già leader

“Qualche decennio fa il Lago Ciad in Africa copriva 25.000 km quadrati, più della Lombardia. Oggi sono meno di 2.000, è più piccolo della Val D’Aosta. La risorsa idrica confina con quattro Paesi, tra cui la Nigeria, che conta oltre 200 milioni di abitanti”, racconta Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola. “Chiaro che questa situazione determini fame e conflitti; non è un caso che il gruppo estremista Boko Haram operi lì vicino. L’area è origine di flussi migratori ma anche cambiamenti di clima che generano carestie e sofferenza, spingono intere popolazioni a cercare una speranza di vita altrove”.

Formiche.net ha raggiunto l’esperto, un decano tra gli ambientalisti italiani, a poche ore dalla pubblicazione dell’ultimo rapporto Ipcc, secondo cui ci rimane appena un decennio per limitare gli effetti più gravi dell’inevitabile aumento della temperatura terrestre. Il rapporto conferma un trend evidente, dice, ma parlare di target e tonnellate di CO2 nel discorso pubblico è astratto, limitativo. La storia del Lago Ciad serve appunto a capire che la crisi climatica non è solo una questione ambientale, ma un processo immenso che si ripercuote sull’economia, sulle società, sulla sicurezza, sul rapporto tra Stati e sul futuro delle relazioni tra i popoli.

“Le nostre energie devono essere indirizzate non tanto a descrivere i pericoli e i processi climatici in atto, quanto a capire come questi possono essere una chiave per una nuova economia, una nuova società”. Piuttosto che gridare al disastro, dunque, il rapporto Ipcc ci deve spingere ad attuare politiche economiche e sociali (ma anche culturali e identitarie). Senza incorrere in due errori di segno opposto, ossia la “linea Gattopardo” di coloro che alzano le mani e si rassegnano all’inazione, e la declinazione oltranzista dell’ambientalismo, quella che osteggia anche la costruzione di impianti per la produzione di energia rinnovabile.

La linea Realacci è innervata di pragmatismo e ha come stella polare la messa in moto del processo di transizione ecologica. L’esperto approva il pacchetto europeo Fit for 55 (che contiene le misure per dimezzare le emissioni europee entro il 2030) e si dice d’accordo anche delle misure più discusse, come la decisione di vietare la vendita di motori a combustione interna dal 2035 (“era chiaro da tempo che si sarebbe dovuto fare”). Persino un grande manager come Sergio Marchionne sconfessò la propria storica diffidenza per le auto elettriche e le abbracciò come “il futuro”, ricorda l’ambientalista, citando un’intervista del 2018 al Corriere della Sera rilasciata poco prima che l’industriale lasciasse FCA.

Oggi la stessa industria dell’automobile si è dimostrata più dinamica dei commentatori, certi grandi gruppi europei hanno già dichiarato di voler elettrificare (o rendere ibrida) l’intera flotta entro il 2030. Per l’industriale, il lavoratore e il sistema-Paese (interpretato dal politico), la messa a terra si traduce nell’attrezzarsi per affrontare la partita in maniera vincente e non perdere pezzi di filiere economiche. Basti guardare allo stato tedesco di Baden-Württemberg, osserva Realacci: nella regione più industriale d’Europa, dove sono acquartierate aziende del calibro di Bosch e Daimler, i verdi governano da un decennio (e non sarebbe possibile se anche gli operai non votassero in quella direzione).

Per l’esperto, in Europa la Germania è il baricentro tecnologico-economico di questa sfida, ma “noi non siamo Calimero… L’Italia è molto più forte di quanto non venga vista anche dagli italiani”. Ora è il momento di sfruttare la grande flessibilità del sistema produttivo italiano (e dei suoi imprenditori) per ripartire dai settori in cui già è leader. “L’Italia ha modo di giocare un ruolo di primo piano, siamo i più avanti nell’economia circolare e nel recupero materiali e un po’ tutti i nostri settori sono più efficienti”. Merito del “cromosoma produttivo italiano” che permette di coniugare qualità, bellezza, innovazione, design ed efficienza, virtù ben sintetizzate nel Salone del Mobile di Milano: “siamo terzi per surplus manifatturiero nel mondo ma vinciamo all’italiana”, osserva l’esperto.

Attenzione: questo vantaggio va promosso con politiche industriali adeguate per non ripetere lo stesso errore che il sistema-Italia (Fiat) fece con Olivetti, facendo perdere all’Italia una possibile primazia storica nello sviluppo dell’informatica. Per Realacci probabilmente oggi siamo leader mondiali nella chimica verde, un campo che sarà cruciale in futuro: “cosa vogliamo aspettare”, si chiede l’esperto, “che tedeschi, americani e cinesi recuperino le nostre conquiste intellettuali solamente in virtù dei loro investimenti massicci?” Avanti con la ricerca, dunque, con un occhio di riguardo per idrogeno verde e fonti rinnovabili.

A livello geopolitico, poi, il vigore dell’Europa si è riscontrato nell’idea della carbon border tax, una misura “di grandissima importanza, che da un lato protegge e aiuta un processo di reshoring già in atto, e dall’altro spinge tutti i Paesi a intraprendere vie più ambiziose”. Del resto, ricorda Realacci, siamo il mercato più grande del mondo. Perciò fare questa scelta in concerto con gli Stati Uniti può portare avanti “il rilancio atlantico centrato sulla lotta alla crisi climatica”, conclude l’esperto, uno sforzo congiunto per “creare un’economia a misura d’uomo che non lasci indietro nessuno”. Tali misure “verranno a maturazione nei prossimi anni, e saranno determinanti”.

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