Molto probabilmente tra poche settimane i Talebani controlleranno nuovamente l’Afghanistan, ma quanto è concreto il rischio che il Paese torni a essere una base per il terrorismo internazionale? L’opinione di Abdul Sayed
In 8 giorni, i talebani hanno preso il controllo di 16 delle 34 province dell’Afghanistan e 18 dei suoi capoluoghi di provincia — e il conteggio è destinato a crescere. Gli Stati Uniti invieranno tre battaglioni di fanteria per facilitare l’uscita degli americani dal Paese. Il Pentagono pensa soprattutto al personale diplomatico, protetto già da 650 Marines, che forse sarà spostato al lavoro in un capannone apposito all’interno dell’aeroporto internazionale di Kabul. L’Italia sta valutando con il COFS come mettere in sicurezza il personale dell’ambasciata — argomento al centro di una telefonata tra il premier Mario Draghi e il ministro Luigi Di Maio. Downing Street ha tenuto una riunione di emergenza sulla crisi, lo stesso hanno fatto i rappresentanti dei Paesi membri Nato allo Shape.
La Gran Bretagna s’è detta pronta a una marcia indietro se i Talebani dovessero “tornare ad ospitare al Qaeda diventando così una minaccia per l’Occidente”, ha dichiarato il ministro della Difesa inglese, Ben Wallace, aggiungendo che Londra ha intenzione di lasciare “ogni opzione aperta”. Il punto ormai non sembra più il se, ma semmai il quando il Paese tornerà sotto il controllo dei Talebani. E il dubbio tra le cancellerie internazionali è già passato oltre: è possibile che l’Afghanistan torni un santuario di al Qaeda? A distanza di venti anni dall’invasione americana (e poi Nato) legata proprio alla protezione che i Talebani del Mullah Omar fornivano al gruppo di Osama bin Laden, siamo tornati al punto zero?
Abdul Sayed, un ricercatore indipendente sul jihadismo e sulla politica e la sicurezza della regione Afghanistan-Pakistan, fa notare a Formiche.net che nonostante tutte le pressioni statunitensi, i Talebani non hanno promesso che in futuro non proteggeranno al Qaeda o gruppi affini sotto il loro governo in Afghanistan. “Nelle recenti dichiarazioni della leadership — continua Sayed — i Talebani non hanno promesso agli Stati Uniti di iniziare alcuna guerra contro al-Qaeda né di portarli fuori dal Paese e, secondo i Talebani, la loro unica promessa a Washington è che non permetteranno a nessuno di usare il suolo afghano per pianificare attacchi contro gli Stati Uniti o i suoi alleati in futuro”.
Tuttavia questo non significa che l’Afghanistan tornerà ad essere un santuario di al-Qaeda come prima dell’11 Settembre. “I qaedisti sono a conoscenza degli impegni dei talebani nell’accordo di Doha con gli Stati Uniti — aggiunge l’esperto — e stanno seguendo le istruzioni dei Talebani su come vivere in Afghanistan. Il gruppo non è nemmeno in grado di pianificare attacchi transnazionali dall’Afghanistan. Questi attacchi erano un mezzo per i gli obiettivi di al Qaeda e non di per sé l’obiettivo finale. Quindi, al Qaeda vivrà in Afghanistan, ma ci sono possibilità molto rare che pianificherà un altro 11 settembre da qui in futuro”.
Oltre alle preoccupazioni americane ed europee, la Cina sente come problema diretto il rischio di un’osmosi tra le istanze jihadiste del venturo Emirato islamico talebano con il territorio dello Xinjiang, dove Pechino vuole controllare la minoranza musulmana con particolare attenzione alle dinamiche di radicalizzazione. La Russia poi da settimane sottolinea che il rischio maggiore è la proliferazione della Wilayah Khorasan dello Stato islamico che si muove nell’Asia centrale ma che fa base in Afghanistan — secondo stime russe di qualche anno fa può contare su 10mila combattenti, in parte sottratti ai qaedisti, in parte ai Talebani.
“Il caso ISKP (acronimo dello Stato islamico del Khorasan, ndr) è diverso da al-Qaeda. È il primo nemico dei talebani in Afghanistan e i talebani non mostrano e non mostreranno pietà per il gruppo. Inoltre, diversi fattori fanno capire che l’ISKP ha il potenziale per creare sfide per i talebani in futuro”, spiega Sayed. Già in passato in Afghanistan si era assistito a questa sorta di competizione all’interno del mondo jihadista.