In visita a Roma da Draghi e Di Maio, il ministro degli Esteri russo Lavrov preferisce parlare di investimenti e vaccino che di Afghanistan, e snobba la mediazione italiana, “abbiamo diverse priorità”. L’Italia è riconosciuta come alleato solido degli Usa e per questo per Mosca non può essere playmaker al G20 sulla crisi afgana
Grazie, ma no grazie. Si potrebbe riassumere così l’atteggiamento della diplomazia russa nei confronti dell’attivismo italiano sulla crisi in Afghanistan. Nella sua visita a Roma, prima dal presidente del Consiglio Mario Draghi, poi dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il ventennale capo della diplomazia russa Sergei Lavrov ha messo in chiaro termini e condizioni per la mediazione offerta dall’Italia, che sposterà al G20 straordinario di settembre il baricentro dell’emergenza afgana. Cioè in un forum che vede l’anglosfera, Stati Uniti e Regno Unito, più che bilanciata dalle potenze euro-asiatiche, su tutte Cina e Russia, che hanno già iniziato a disegnare il domani dell’Emirato islamico dei talebani.
Alla Farnesina nel primo pomeriggio si ha l’impressione di assistere a due diverse conferenze stampa. Di Maio esordisce con il bollettino afgano. Condanna del sanguinario attentato dell’Isis di fronte all’aeroporto di Kabul, cento morti di cui tredici Marines. Richiamo al “dialogo imprescindibile con la Russia” per stabilizzare la crisi, la necessità di “un approccio globale, coerente condiviso”. Poi la road map italiana da presentare a G20, fatta di cinque priorità: “Protezione dei civili, tutela concreta dei diritti umani, garanzia dell’accesso umanitario, contrasto al terrorismo, gestione efficace dell’impatto migratorio”.
Quando Lavrov prende la parola, sembra parlare da un’altra stanza. Per dieci minuti non un accenno all’Afghanistan. Discorre invece di turismo, rapporti commerciali, del Forum economico di San Pietroburgo, degli scambi fra giovani per imparare la lingua. Dunque il vaccino, “la cooperazione della ricerca scientifica fra il centro russo Gamaleya e lo Spallanzani”, i voli aerei, la lotta alla criminalità organizzata.
Risponde solo in parte alle cortesie dell’omologo italiano, che parla di “amicizia storica fra i nostri popoli”. Ribatte a tono, invece, ai richiami di Di Maio sulle condizioni di Alexei Navalny, il rispetto degli accordi di Minsk e la Crimea. Il dissidente russo in carcere? “Vi invito a studiare bene il verbale sull’avvelenamento del Bundestag”. L’Ucraina? “Le sue decisioni legislative violano gli accordi di Minsk”. Senza dimenticare le proteste per Sputnik V, il vaccino russo mai approvato dall’Ema e dunque escluso dal Green pass europeo, anche se agli abitanti di San Marino, vaccinati con il farmaco russo, l’Italia ha concesso di muoversi liberamente.
Quando passa all’Afghanistan, l’inviato di Vladimir Putin si sfila del tutto i guanti. Bene il G20 guidato dall’Italia, dice Lavrov, ma “le soluzioni congiunte non sono mai semplici”. Anche sulle cinque priorità italiane per fare i conti con i talebani l’orchestra è stonata. “Nei cinque principi la lotta al terrorismo è all’ultimo posto, la nostra priorità è la sicurezza dei nostri alleati e degli Stati del sud confinanti (con l’Afghanistan, ndr), esposti al pericolo”. Come a dire: gli aiuti umanitari, le ong, la gestione dei migranti sono un problema europeo molto più che russo.
La durezza di Lavrov è in parte una constatazione. E cioè che l’Italia è un Paese partner, ma non alleato, e fra i Paesi europei è tra quelli che più convintamente sono schierati nel campo atlantico. E però getta al tempo stesso acqua fredda sul tentativo di Draghi e del governo italiano di fare da playmaker europeo della crisi afgana.
Sia chiaro, la mediazione è gradita a Mosca, perché è un bel guadagno d’immagine. Da mesi la diplomazia russa cerca di mettere in risalto i rapporti privilegiati con i principali Stati europei, dopo che l’Ue ha deciso (a differenza di Joe Biden) di non riprendere gli incontri di vertice con la Russia. Già il G20 di Matera a giugno poteva offrire al Cremlino l’occasione di rispondere al j’accuse lanciato dagli Stati Uniti dal G7 in Cornovaglia. Ma l’agenda principalmente economica della kermesse italiana aveva infine convinto Lavrov a rimandare la resa dei conti a un altro palcoscenico, inviando in Basilicata un suo vice, Aleksandr Pankin.
I tentativi italiani di creare un canale per far fronte al dramma afgano sono stati un assist gradito al governo russo, che infatti non ha perso occasione di sottolineare lo sforzo di Roma (come quando, nel comunicato della telefonata di Draghi a Putin del 19 agosto, il Cremlino ha messo in chiaro che è partita “su iniziativa italiana”).
Dietro l’incasso di immagine, però, c’è un’altra verità che i russi vogliono far emergere. La mediazione è gradita, ma non necessaria. Il G20 italiano è un’occasione importante, non fondamentale. Quando alla Farnesina Lavrov rimarca il lavoro di questi mesi del “formato Mosca”, (Russia, Afghanistan, China, Pakistan, Iran, India, Kazakhstan, Tajikistan, Kyrgyzstan, Uzbekistan and Turkmenistan) e i continui incontri con i talebani con cui “abbiamo mantenuto un dialogo”, chiarisce che la Russia, come la Cina e in fondo anche gli Stati Uniti, non ha davvero bisogno di ponti e pontieri.