Un drone americano ha eseguito un bombardamento contro un obiettivo dello Stato islamico nel Khorasan, rappresaglia per il mostruoso attentato all’aeroporto di Kabul
“Vi daremo la caccia e ve la faremo pagare”, aveva detto il presidente Joe Biden commentando il sanguinoso attacco che ha colpito l’aeroporto di Kabul, rivendicato dallo Stato islamico. Così è stato. Sono passate meno di 48 ore dall’attentato che ha squarciato le operazioni di evacuazione degli occidentali e dei loro collaboratori afghani in fuga dal ritorno dei Talebani, attacco in cui sono morte 169 civili e 13 militari americani (l’ultimo soldato Usa ucciso in Afghanistan fu a febbraio 2020). Nella notte tra venerdì e sabato 28 agosto, un velivolo senza pilota statunitense ha portato a termine un bombardamento contro quello che il Pentagono ha indicato come “un individuo coinvolto nell’attentato”. Il bombardamento è avvenuto nell’area di Nangahar, cuore della presenza dello Stato islamico nel Khorasan (acronimo inglese ISKP), la filiale baghdadista colpevole del massacro all’aeroporto.
Non è chiaro il target; non è chiaro se il bersaglio sia stato un pianificatore (un leader, un comandante?) oppure un operativo che ha preso parte all’azione. Quello che diventa evidente è che, vista la rapidità di reazione e rappresaglia, gli Stati Uniti seguono costantemente le attività del gruppo — sebbene non è da escludere che il bombardamento, comunicato dal Pentagono in forma ufficiale, serva per marcare un segno di risposta davanti a un evento critico come l’attentato, che si porta dietro contraccolpi politici per l’amministrazione Biden. Washington ha già usato contro ISKP azioni spettacolari, legate anche alla comunicazione oltre che alla necessità tattica. Per esempio, ad aprile del 2017 la US Air Force condusse un bombardamento attraverso la cosiddetta “Madre di tutte le bombe”, il più potente ordigno convenzionale al mondo: un airstrike usato per stanare i miliziani dai rifugi montani, ma anche per inviare un messaggio (politico) a nemici e alleati sulle capacità e volontà operative statunitensi.
“Avevamo un’opzione subito laggiù”, ha detto il Pentagono, spiegando che il raid aereo nella notte ha avuto autorizzazione diretta del presidente, trasmessa al segretario alla Difesa e poi alle operazioni. Venerdì Biden aveva ricevuto un nuovo briefing nel quale la situazione allo scalo di Kabul era stata considerata critica ed era stato messo in chiaro che c’era il rischio di nuovi attentati. Davanti a questo, la data del 31 agosto come fine attività viene considerata non modificabile dagli americani. Nel briefing sono stati descritti anche nuovi dettagli sull’attentato: il Pentagono ha corretto il suo rapporto iniziale secondo cui c’erano stati attentati suicidi in due località. Ce ne sarebbe stato solo uno, nella zona dell’Abbey Gate dello scalo, seguito da spari. Il rapporto iniziale di un secondo attacco al vicino Baron Hotel si è rivelato falso, l’errore colpa della confusione iniziale.
Il bombardamento viene definito dal Pentagono un esempio delle capacità “over the horizon”, ossia la capacità di seguire a distanza ciò che accade in un determinato teatro e intervenire in maniera esecutiva e rapida quando ve n’è necessità. Gli analisti dubitano che gli Stati Uniti possano mantenere intatta la capacità operativa una volta usciti definitivamente dal paese, perché potrebbero avere mancanze hum-int. Il drone del bombardamento ISKP sarebbe partito da una base del Medio Oriente e avrebbe tracciato il suo bersaglio mentre si spostava in macchina. Secondo quanto dichiarato dal portavoce del Pentagono in precedenza, “migliaia” di miliziani baghdadisti arrestati in questi anni, sarebbe tornati a piede libero dopo essere fuggiti dalle prigioni afghane nelle settimane in cui i Talebani — nemici dell’Is — conquistavano il Paese.