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L’Ue a Teheran, gli Usa nel Golfo e Israele a Washington. Preparativi al Jcpoa

Una serie di viaggi incrociati e incontri diplomatici fa pensare che forse questa è la volta buona per il Jcpoa. I negoziati di Vienna guidati dall’Ue ripartiranno a breve, e forse si arriverà alla ricomposizione dell’accordo

Il diplomatico spagnolo Enrique Moras, direttore politico dell’Eeas, il servizio di politica estera dell’Unione europea, è in viaggio a Teheran. L’obiettivo dichiarato è quello di riprendere le negoziazioni sul Jcpoa, l’accordo nucleare con l’Iran. Il dialogo è in corso a Vienna e Moras ne è il coordinatore perché l’Ue sta svolgendo il ruolo di staffetta diplomatica tra iraniani e statunitensi. L’obiettivo di questi talks è creare i presupposti per far sì che gli Stati Uniti rientrino nell’intesa – che hanno strutturato nel 2015 con l’amministrazione Obama e da cui nel 2018 sono usciti unilateralmente per volontà della presidenza Trump. Contemporaneamente, l’Iran dovrebbe cessare le violazioni controllate che ha avviato dopo il ritiro americano dal deal, e contemporaneamente essere più trasparente sul programma.

Da quando Joe Biden è entrato in carica, il destino del Jcpoa è stato indirizzato verso una ricomposizione, ma l’amministrazione del democratico ha dimostrato in più occasioni di non essere interessata a compromessi al ribasso e a oggi, dopo quasi due anni, sull’Iran gravano ancora le sanzioni reintrodotte dalla “massima pressione” trumpiana. In questa fase però sembra che qualcosa di concreto si stia muovendo, quanto meno per la riapertura dei colloqui che – con la vittoria quest’estate del presidente conservatore Ebrahim Raisi – sembravano destinati a naufragare. La visione generale è pragmatica, la necessità per tutti gli attori in campo è una de-escalation tattica.

La descrizione del momento è data da un incrocio di visite e appuntamenti. Il viaggio di Moras in Iran è infatti accompagnato da quello di Robert Malley, capo negoziatore americano con la Repubblica islamica (grande conoscitore delle dinamiche iraniane e del Jcpoa), che sarà negli Emirati Arabi, poi Qatar e Arabia Saudita. Anche in questo caso obiettivo dichiarato parlare di Iran e del ritorno americano nel Jcpoa, e di farlo a Riad e Abu Dhabi che per anni hanno condotto una campagna di scontro (a media intensità, per procura e ricambiata) con Teheran; e con Doha, che ha collegamenti con l’Iran perché condividono un’enorme giacimento gasifero. Sempre in questi giorni, a Washington c’è Yair Lapid, ministro degli Esteri israeliano, che tra gli obiettivi della visita ha anche quello di discutere il ritorno in essere del Jcpoa.

La scorsa settimana il portavoce della diplomazia di Teheran, ha dettoFrance24 che “stiamo per tornare a Vienna”. Questa settimana i ministeri degli Esteri sauditi e iraniani hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui confermano che tra i reciproci funzionari sono in corso colloqui. Si parla di clima disteso e favorevole alla riapertura intanto dei reciproci consolati. Significa che tra i due poli del mondo musulmano, centri del potere sunnita e sciita e competitor geopolitici nella regione, si stanno riallacciando le relazioni diplomatiche.

Una normalizzazione dettata dai tempi, con gli Usa che pressano per una soluzione alle tensioni regionali (obiettivo strategico togliere attenzione alla regione per concentrarsi su altro: leggere Cina e Indo Pacifico). Addirittura nelle scorse settimane erano circolate notizie a proposito di una possibile intesa per il de-conflicting in Yemen proprio tra Teheran e Riad. Il regno saudita sunnita quando si parlava di Jcpoa usava sempre il sostegno dei Pasdaran ai ribelli yemeniti come esempio di cattiva condotta dell’Iran, motivo per dire che quell’accordo non bastava, o per cui non fidarsi proprio di fare un accordo con la Repubblica islamica sciita.



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