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Pandemia in Russia, Evergrande in Cina. Le incognite del G20 italiano

Il Cremlino ha deciso nuove restrizioni dopo il boom di contagi. Pechino davanti al dilemma immobiliare. Ecco sfide e opportunità del summit presieduto da Draghi

Per i cittadini russi meglio le ferie forzate che i lavori forzati, ma le decisioni del Cremlino di lasciare a casa i lavoratori dal 30 ottobre al 7 novembre indicano che l’andamento della pandemia in Russia è davvero allarmante. Si tratta, insieme al rallentamento dell’economia cinese, di una delle due grande incognite che peseranno sul G20 a presidenza Italiana convocato per il 30 e 31 ottobre.

Oggi i media mainstream ne parlano soltanto perché è intervenuto il presidente Vladimir Putin, ma in Russia da un paio di settimane le vittime del Covid-19 si aggirano sui 1.000 decessi al giorno.

Queste misure si sono rese necessarie perché la maggioranza dei cittadini russi si ostina a ignorare gli accorati appelli del Cremlino affinché la popolazione si sottoponga alla vaccinazione, al distanziamento, alle mascherine e alle altre misure di prevenzione dal contagio. Ciò che può rendere la situazione critica è l’elemento stagionale: sta per iniziare il duro inverno russo, da sempre un grande problema, non solo in campo sanitario.

La crisi energetica mondiale potrebbe essere l’occasione per migliorare la situazione finanziaria della Federazione Russa e potenziarne il potere negoziale a livello diplomatico. Ma aumentare il prezzo del gas non serve a fermare il numero dei morti e il diffondersi della pandemia.

Per Mosca forse sarebbe il caso di adottare una politica sanitaria meno unilaterale di quella scelta sinora.

Per esempio, servirebbe una disponibilità ai controlli ispettivi di carattere tecnico e scientifico dell’Organizzazione mondiale della sanità e Agenzia europea del farmaco, soprattutto sulle modalità e sui luoghi di produzione dei vaccini in Russia. Una maggiore apertura internazionale del Cremlino sarebbe in linea con la dichiarazione del Global Health Summit di Roma del 21 maggio.

Il paradosso è che a un’analisi sommaria dei media russi – Rt e Sputnik – e sopratutto dei numerosissimi canali Telegram a essi collegati si può osservare una costante correlazione tra gli slogan contro Green Pass e vaccini e l’espressione “dittatura sanitaria”, declinata nelle diverse lingue in cui Rt trasmette.

Ma questo doveroso accenno alle fastidiose campagne di disiformatia non deve distrarci dall’obiettivo strategico della piena sconfitta della pandemia. Qualora fosse necessario l’Italia e l’Europa intera in sede G20 devono esprimere la loro piena e incondizionata disponibilità ad offrire al governo russo il supporto sanitario utile a sconfiggere la diffusione del virus e e delle varianti.

Il secondo elemento che pesa sul G20 della prossima settimana è l’incertezza della politica economica cinese in questa fase di rallentamento della loro economia e della crisi del colosso cinese Evergrande. Le crisi finanziarie ci sono sempre e in tutti i Paesi. Ma in questo caso, l’incertezza sul futuro dipende più che dall’andamento dei mercati dalla imprevedibilità delle sue scelte politiche.

Non è ancora chiaro se la Cina intende attuare davvero la cosiddetta politica del “doppio circuito”, ovvero l’illusione che si possano separare nettamente le logiche del suo mercato domestico dalle relazioni economiche internazionali, oppure se Pechino intende partecipare attivamente (sia pure con le sue particolarità) alle dinamiche complessive dell’economia globale. Nel primo caso la posizione debitoria di Evergrande (too big to fail?) e altri segni di rallentamento dell’economia cinese preoccupano molto i grandi protagonisti che dominano i mercati finanziari internazionali.

L’ipotesi che Evergrande trovi qualche soluzione per far fronte ai debiti domestici, ma non sia in grado di far fronte in tempi ragionevoli alla sua esposizione esterna (anche in relazione alla non piena convertibilità della moneta cinese) preoccupa i mercati.

La paura è sempre più forte della ragione: lo spettro di una Cina che erige una nuova grande muraglia economico-finanziaria spaventa e molto tutti gli operatori economici. Investire oggi in Cina è sicuramente un po’ più rischioso (e potenzialmente più redditizio), ma questo è un dato fisiologico. Viceversa l’ipotesi – purtroppo non del tutto remota – di una Cina che tende a sganciarsi dall’economia mondiale crea uno scenario imprevedibile.

Si determina l’incertezza che, come ricordava John Maynard Keynes, significa semplicemente “non sapere”. Ovvero il fattore più ansiogeno per qualunque agente economico sia esso pubblico o privato. È impossibile che durante il G20 della settimana prossima i dilemmi sulle future scelte politiche ed economiche possano essere chiarite.

Tuttavia un interrogativo che potrebbe essere sollevato utilmente è quale è il ruolo che la Cina pensa di svolgere nel breve periodo nelle piazze finanziarie internazionali. Un esempio riguarda il ruolo di Hong Kong e la sua difficile relazione (da sempre) con la Borsa di Shangai. Non è solo un tema domestico. Sappiamo da tempo tra che la rivalità tra piazze finanziarie non porta bene.

La concorrenza esasperata tra Wall Street di New York e la City di Londra ha portato Bill Clinton ha prendere decisioni disastrose come quella di equiparare banche commerciali e banche d’affari, uno dei fattori che ha favorito la grande crisi finanziaria innescata in America dalla bolla immobiliare e dai derivati sub prime. Per fortuna successivamente in seguito alle decisione del G20 di Londra del 2009, Mario Draghi come presidente del Financial Stability Board ha potuto frenato le spinte ultraliberiste teorizzando sia la necessità di una particolare vigilanza sulle “istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica”, sia e di nuove regole ad hoc che esse devono rispettare.

A mio modesto avviso, ma mi sembra anche il parere di un affermato sinologo come Francesco Sisci, per la Cina l’ipotesi di chiudersi in un “pianeta” parallelo e limitare il suo ruolo nelle dinamiche economiche-finanziare mondiali non appare una scelta lungimirante per la sua leadership.

La stretta repressiva a Hong Kong ha prodotto l’esodo di molti talenti. Per ambire al ruolo di superpotenza globale occorre una capacità di attrarre le migliori energie da tutto il mondo ed è innegabile come negli ultimi anni questa capacità di attrazione della Cina sia fortemente diminuita. Solo dopo le conclusioni del congresso del Partito comunista cinese del 2022 saremo in grado di capire meglio la traiettoria della Cina, ma come ha ricordato in questi giorni Carl Bildt è interesse di tutti, Stati Uniti in primis tenere un canale aperto. È sbagliato tacere sulle gravi violazioni dello stato di diritto come ha fatto soprattutto il governo gialloverde Conte I, ma anche una parte della sinistra italiana.

Tuttavia, la presidenza italiana del G20, di intesa con gli alleati euroatlantici potrebbe essere l’occasione per stabilire tenere un nuovo tipo di canale aperto con Pechino (per esempio nel format track 2 diplomacy) su tre aspetti: su come (e in cambio di cosa) ridurre le centrali a carbone in Cina perché altrimenti il cambiamento climatico non si arresta; una politica cooperazione multilaterale in materia di Global Health che sostituisca la miope diplomazia dei vaccini; un dialogo sul commercio e sul futuro dell’Organizzazione mondiale del commercio.

In Cina l’esportazione del “made in Italy” è una grande opportunità, basti pensare all’agroalimentare di qualità o al turismo quando la situazione sanitaria lo consentirà. Un aumento delle nostre esportazioni verso la Cina (oggi purtroppo ancora molto inferiori rispetto alle importazioni) è nel nostro interesse nazionale. Ma il discorso sul commercio deve essere più trasparente. Il tema è stato affrontato con lucidtà anche dal commissario europeo Paolo Gentiloni nel suo recente viaggio in America.

Tuttavia, rispetto alle posizioni espresse dall’ex presidente del Consiglio, vorrei aggiungere un caveat su una materia che questi conosce bene, ma che negli Stati Uniti non ha approfondito.

A mio avviso il dialogo per uno sviluppo dell’interscambio commerciale e gli investimenti produttivi con Pechino non dovrebbero includere l’ICT e l’universo digitale; il “cyber” è, infatti, materia troppo sensibile per una somma di ragioni su cui non mi dilungo (sorveglianza di massa, democrazia, dimensione duale, sicurezza nazionale, difesa, eccetera).

Negli ultimi venti anni la Cina è stata molto abile (e per certi aspetti ammirabile come nel caso della eliminazione della poverta’ assoluta) nel gestire i processi di globalizzazione a proprio favore. Non possiamo tuttavia ignorare che la sua è stata per molti versi una corsa solitaria. In 20 anni la crescita cinese non ha, infatti, trainato i Brics come molti studiosi prevedevano. L’India, il Brasile, la Russia e il Sud Africa sono rimasti molto indietro.

Ma la Cina resta comunque il tema politico più importante per il nostro Paese. La Germania e la Francia si sono attrezzate per studiare a fondo il Dragone. Per non parlare degli Stati Uniti che hanno incaricato anche la Cia di costituire una apposita task force di analisti. Non si capisce perché in Italia non esista una attenzione analoga.

Non mi riferisco tanto all’intelligence che – spesso inascoltata – nell’ultimo decennio ha fornito numerosi spunti ai decisori, quanto a un centro indipendente che aiuti il governo, il Parlamento e i partiti politici a superare l’ignoranza (e i tanti luoghi comuni) che circondano la Cina.U n apposito centro di ricerca potrebbe essere collocato al Casd, alla scuola del DIS, alla Banca d’Italia, alla stessa Sna, alle scuole del Viminale.

Un Centro studi sulla Cina veramente indipendente potrebbe disturbare qualcuno. Conosco gli interessi collegati alla transizione digitale finanziata dal Pnrr, il ruolo dei media supportati in vari modi da Pechino, le università legittimamente finanziate da aziende cinesi, gli studi legali che lavorano sul Golden Power, eccetera. Tuttavia, la fase che si apre dopo il G20 può essere l’occasione per inaugurare qualcosa di nuovo. La sconfitta della pandemia è il raggiungimento di una stabilità finanziaria globale passano anche da una serietà e da rigore intellettuale coerente in politica estera. Questi aspetti devono essere coltivati in futuro perché costituiscono una delle più preziose virtù politiche della fase inaugurata dal governo Draghi per la maggioranza e l’opposizione.


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