L’onda lunga della crisi immobiliare cinese arriva fino a Modern Land, colosso dei progetti urbani verdi ora insolvente per 250 milioni verso il mercato. E così un pezzo di rivoluzione ambientale è sotto ipoteca. Intanto il governo intima al fondatore di Evergrande di rimborsare i creditori di tasca propria
Come una piovra, i tentacoli della crisi immobiliare cinese arrivano fino alla green economy, proprio nel momento in cui il Dragone cerca affannosamente di porre rimedio a livelli di emissioni ancora ben al di sopra dei target di Parigi. Livelli, costati fino ad oggi il razionamento dell’energia in molte province della Repubblica Popolare e qualche decimo di Pil. Dopo il disastro di Evergrande, virtualmente fallita sotto il peso di 305 miliardi di debiti, il contagio della crisi continua a estendersi a macchia d’olio.
Ora nel tritacarne è finita Modern Land. Il canovaccio è sempre lo stesso, la società non è riuscita a pagare gli interessi e il capitale dovuti su un’obbligazione da 250 milioni di dollari. Ma c’è una differenza. L’attività principale di Modern Land è lo sviluppo e la realizzazione di progetti urbani green, ovvero immobili e complessi dagli elevati standard di sostenibilità. Un suo, a questo punto probabile, default, potrebbe compromettere parte della rincorsa verde della Cina.
Nel dettaglio, il bond in questione non è stato pagato, “a causa di problemi di liquidità imprevisti derivanti dall’impatto negativo di una serie di fattori tra cui l’ambiente macroeconomico, l’ambiente del settore immobiliare e la pandemia di Covid-19 affrontata dal gruppo”, si legge tra le righe di una nota diffusa dalla stessa società cinese. Di conseguenza, Modern Land è appena entrata nel novero dei grandi colossi della Cina finiti insolventi verso il mercato.
Fantasia Holdings, Sinic Holdings e China Properties e ovviamente Evergrande, sono solo gli ultimi casi di aziende inadempienti sulle obbligazioni offshore. Senza considerare che le agenzie internazionali hanno già rivisto al ribasso il rating di 44 gruppi immobiliari cinesi. E a Pechino, cosa si dice? Sembra proprio che qualcuno abbia cominciato a perdere la pazienza, verso chi ad oggi è il simbolo della grande crisi cinese: Evergrande.
Le autorità cinesi hanno chiesto al fondatore di Evergrande, Hui Ka Yan, di usare la sua ricchezza personale, tra le maggiori del Paese (circa 8 miliardi di dollari), per alleviare la crisi del debito dello sviluppatore immobiliare sull’orlo del default per il debito da 305 miliardi di dollari. La direttiva di Pechino a Hui è arrivata dopo che la compagnia ha mancato la scadenza iniziale del 23 settembre del coupon da 83,5 milioni di dollari su un bond offshore, versato però a sorpresa la scorsa settimana per evitare l’insolvenza. Una richiesta che si aggiunge ai segnali sulla riluttanza di Pechino, almeno finora, a orchestrare un salvataggio del governo, anche se la crisi del gruppo di Shenzhen dovesse diffondersi ulteriormente.