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L’Etiopia rischia di collassare tra le violenze governative e l’assalto dal Tigray

Addis Abeba chiede aiuto ai cittadini per respingere i ribelli, che ormai sono a meno di duecento chilometri dalla capitale. Il rischio che il governo di Abiy aumenti le violenze e non accetti de-escalation

Il governo dell’Etiopia ha dichiarato lo stato di emergenza martedì e ha invitato i cittadini (civili) a prendere le armi e prepararsi a difendere Addis Abeba mentre le forze ribelli della regione settentrionale del Tigray hanno conquistato due città chiave prima della capitale.

I tigrini, che hanno combattuto il governo nell’ultimo anno, hanno unito le forze con un altro gruppo ribelle, l’Esercito di Liberazione Oromo, organizzazione molto più piccola che lotta per i diritti degli Oromo, il più grande gruppo etnico dell’Etiopia. Questo ha sparigliato gli equilibri in campo, diverse unità dell’esercito regolare si sarebbero date alla fuga, nonostante nelle ultime settimane i bombardamenti governativi siano cresciuti di numero e intensità. Il cedimento ha fatto scattare in avanti i ribelli verso Addis Abeba.

Quello che succede in Etiopia è molto importante sia perché il Paese è il secondo più popoloso dell’Africa e per molti aspetti paradigma di stabilità, sia perché l’area in cui il conflitto si svolge è particolarmente sensibile. Il Corno d’Africa è infatti un punto altamente strategico, in cui allungano interessi diverse potenze globali e regionali (tra queste l’Italia ha un ruolo), e in cui l’instabilità del Tigray si somma a una serie di condizioni di disequilibrio analizzate su queste colonne da Daniele Ruvinetti di Med Or (il golpe in Sudan, le tensioni sulla diga Gerd o sulla piana di Fashaga, la presenza di gruppi armati di vario genere).

La richiesta di prendere le armi ai civili segna un’altra svolta negativa nel record del primo ministro Abiy Ahmed, premio Nobel per la Pace la cui reputazione internazionale è stata colpita dalla guerra che ha portato a denunce di violazioni dei diritti umani, massacri e carestie. Sotto lo stato di emergenza, Abiy si intesta poteri quasi completi per arrestare e detenere i critici, imporre coprifuoco e limitare i media; inoltre qualsiasi cittadino sopra i 18 anni potrebbe essere chiamato a combattere, ha detto il ministro della Giustizia.

Un anno fa, nelle prime ore del 4 novembre, il premier aveva annunciato l’inizio della campagna militare nella regione settentrionale del Tigray: l’obiettivo era sconfiggere il partito regionale al potere, il Tigray People’s Liberation Front – che è il principale avversario politico di Abiy. Nonostante lo scetticismo degli analisti, prometteva un’operazione rapida, addirittura senza sparare un colpo, ma la campagna è rapidamente diventa violenta: una guerra interna che non ha risparmiato civili e che ha prodotto dinamiche di carattere regionale.

Dopo aver annunciato più volte il successo, Abiy ha subito un colpo duro a giugno, quando ha dovuto accettare un cessate il fuoco mentre i ribelli controllavano la capitale tigrina Makelle e diverse truppe governative venivano fatte prigioniere. Negli ultimi giorni, mentre la violenza dei combattimenti si è riaccesa, i ribelli hanno preso le città di Dessie e Kombolcha, appena 160 miglia a nord-est di Addis Abeba – per altro poste lungo un’arteria autostradale nord-sud il cui controllo potrebbe determinare una svolta nel corso della guerra.

Da lì, l’amministrazione della città di Addis Abeba ha deciso di invitare i cittadini a usare le loro armi per difendere i loro quartieri. La richiesta si spalma su un senso di esasperazione: gli etiopi soffrono il peso della guerra, sono spaventati e preoccupati perché il governo non ha finora dichiarato la reale situazione riguardo alla guerra con i ribelli. Temono che per far passare una percezione vincente siano stati tenuti all’oscuro della debacle in arrivo – e in effetti campagne di infowar e disinformazione hanno caratterizzato questi mesi di conflitto.

Jeffrey Feltman, l’inviato dell’amministrazione Biden per il Corno d’Africa, ha detto in conferenza stampa che il conflitto è sempre più profondo e potrebbe avere “conseguenze disastrose” per l’unità dell’Etiopia e i suoi legami con gli Stati Uniti – la Casa Bianca aveva già minacciato di sospendere alcuni accordi commerciali tra i due Paesi. Da sempre Washington sta cercando di fare pressioni su Abiy, che è un alleato americano, e chiedergli di cercare una via per il dialogo e lo stop ai combattimenti.

Un “beniamino dell’Occidente” dopo aver vinto il premio Nobel per la Pace nel 2019, come scrive il New York Times, Abiy ha aumentato di intensità il coinvolgimento per schiacciare i tigrini. Dopo che gli Stati Uniti hanno minacciato di sanzionare Addis Abeba,  a settembre, il governo etiope ha accusato l’Occidente di “pregiudizi neocoloniali” e ha espulso sette alti funzionari delle Nazioni Unite, tra cui un coordinatore degli aiuti umanitari nel Tigray.

Il governo ha impedito alla maggior parte delle forniture di cibo e medicine di raggiungere la regione, dove le Nazioni Unite stimano che 5,2 milioni di persone hanno urgente bisogno di aiuto e 400mila vivono in condizioni simili alla carestia. Il mese scorso, l’esercito etiope ha lanciato un’offensiva contro le forze del Tigrai che si è estesa fino a includere attacchi aerei contro aree civili dell’assediata Mekelle.

Abiy vuole vincere, non sta risparmiando azioni aggressive e spregiudicate, e gli sforzi internazionali per avviare una de-escalation non hanno prodotto risultati. Negli ultimi giorni, sempre a proposito di quelle attività di deviazione dell’informazione, ha dato la colpa delle perdite a stranieri non identificati che, secondo lui, stanno combattendo a fianco dei tigrini.

Nel frattempo, ad Addis Abeba le forze di sicurezza hanno iniziato retate porta a porta contro i cittadini di etnia tigrina, alimentando i timori di rappresaglie su base etnica nella capitale mentre i ribelli si avvicinano e, come detto, l’esasperazione cresce. Dall’altro lato i tigrini non si fermano, “combattiamo per la nostra terra” dicono nei comunicati, e per rompere un assedio che “affama i nostri figli”.

I gruppi per i diritti umani hanno anche accusato i combattenti tigrini di abusi, tra cui l’uccisione di cittadini eritrei – l’Eritrea ha sostenuto il fronte di Abiy e ha inviato combattenti che si sono macchiati di crimini sanguinosi contro la gente del Tigray (attualmente queste unità eritree potrebbero essersi ritirate, e anche a questo si potrebbe legare la flessione delle forze governative a Dessie e Kombolcha).

Il governo etiope ha accusato i combattenti tigrini di aver ucciso “giovani residenti” a Kombolcha nei giorni scorsi, ma non ha fornito prove. Molto di quello che succede non è confermabile: la propaganda sui due lati è spinta, i giornalisti internazionali evitano le zone di conflitto per ragioni di sicurezza, Internet è stata tagliata dal governo.

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